Pagina:L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu/62

46 PARTE SECONDA

monete fuse con quelle impronte medesime, quantunque manchino di quella epigrafe, appartengono alla medesima Roma. A riconoscere i padroni delle monete disegnate nelle quattro tavole su cui prendiamo a ragionare, incominciano ad aprirci la via le monete coniate e scritte della tavola XII. Quivi sotto i numeri 6. 8. 12. 12. A. e 13. vedesi quel medesimo eroe guerriero che è ne’ semissi delle quattro nostre tavole: sotto i numeri 9. 10. 21, e 22, vedesi il bifronte medesimo degli assi delle tavole VI. e VII : sotto i numeri 6. 7. e 8. v’è ripetuta la clava come in tutta la serie della tavola IV: sotto i numeri 12. 12. A. e 13. v’è scolpita nel solo rovescio la falce, come in tutta la serie della tavola VII. : sotto i numeri 9. 10. e 22 veggonsi trasformati in un Giove in quadriga i fulmini e le ghiande che trovansi nei trienti e nelle semoncie di quelle quattro tavole. Finalmente la Venere frigia degli assi delle tavole IV. e V. può dirsi essere la medesima che qui vediamo sotto i numeri 14. e 15. Questa quasi identità d’impronte è più che bastevole a convincere chichesìa, che còme della moneta romana scritta e non scritta, coniata e fusa un medesimo popolo ne è il padrone; così qui una medesima nazione è la padrona tanto delle fuse che mancano d’iscrizione, quanto delle coniate che l’hanno.

Nel farci a rintracciare questa nazione dichiariamo tantosto, che il giudizio comune de’ moderni numismatici, i quali tolgono a Roma il dominio immediato su queste monete coniate, è da noi tenuto per vero e giusto. Non appartengono esse immediatamente a Roma , perchè Roma ha le monete tutte sue proprie; perchè mancano de’ segni del valore che Roma non lasciò mai di marcare né sull’oro, né sull’ argento, né sul bronzo finché fu in piedi la republica; perchè non hanno le ordinarie impronte delle monete romane; per ultimo perché sono scolpite con un’arte che non è l’ordinaria delle monete romane. Ma non possiamo con eguale facilità entrare nella sentenza di coloro , i quali voglion far dono alle città della Campania di sì pregiati monumenti. Si fanno essi forti su due ragioni che ad una soda critica compariscono molto deboli. La prima è che l’arte in queste monete è bella tanto che s’ assomiglia all’arte campana: dunque conchiudono queste monete sono campane. E noi conchiuderemo con egual diritto, dunque sono lucane se sono belle, o sono delle città della magna Grecia o della Sicilia. Si trae la seconda pruova dalla loro provenienza che è, dicesi, comunemente campana. Non vogliamo negare questo fatto, anzi aggiungiamo la nostra esperienza a confermarlo: ma ci facciamo egualmente testimonj che queste monete comunemente provengono eziandio da tutto quel paese , che si frappone tra il Tevere e la Campania. Faccia qui in Roma chi vuole quelle pruove che da parecchi anni noi veniamo facendo , e si convinca.

Ora la prima ragione non favorisce le città campane più di quel che favorisca le città lucane o sicule : la seconda tanto giova alla provincia posta oltre il Liri, quanto a quella che trovasi al di qua. Convien tuttavia por