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prefazione | 3 |
molto lungi dal vero, stabilendolo prossimo alla edificazione di questa città, ordinata da Romolo, anzi anteriore piutosto che posteriore.
E a vero dire, se da estrania terra fosse stato tra noi recato l’artifizio dell’aes signatum ne avremmo un qualche avviso nelle memorie degli autori più vetusti, o almeno nel medesimo aes signatum, il quale avrebbe in quella sua prima culla lasciato di se alcune reliquie, come le ha lasciate in queste terre che lo videro nascere e andare in uso. Ma né gli scrittori ne fanno parola, né fuori di queste italiche provincie noi conosciamo paese, il quale tra’ suoi monumenti ne additi una qualsiasi pruova di moneta in bronzo, distinta da ogni altra forma di moneta per la sua fusione, per il suo peso e per la distribuzione in quelle parti che dalla libra scendono gradatamente fino all’oncia. L’Egitto, l’Asia e la Grecia nella copia e varietà maravigliosa delle loro arti, nulla ci offrono di somigliante: anzi nell’Italia medesima troveremo a suo tempo non pochi popoli e città, che o non poterono, o non seppero, o non vollero ajutarsi del benefizio di questo ritrovamento.
Pare quindi a noi, che nella sola Italia trovisi l’arte nascere, progredire e sollevarsi passo passo dalla prima rozzezza sino alla miglior sua perfezione. Quivi incomincia da un peso quasi strabocchevole, e grado a grado discende a pesi più comodi; incomincia universalmente dalla fusione, e trapassa al conio. Non già che l’arte del coniare, anche con conj a cilindro, sia quivi di tarda origine; che anzi noi la stimiamo anteriore all’uso stesso della moneta fusa. Anella, borchie, fibbie, collane in sottili lamine d’oro purissimo, lastre di bronzo con componimenti di varie figure,☆☆☆ ripetuti senza interrompimento con applicazione di conj ora piani ora cilindrici, noi quivi in Roma abbiam vedute in grande copia uscire dalle escavazioni suburbane ed etrusche di questi ultimi anni. Ma contuttoché queste opere cosi coniate ne presentino lo stato dell’arte, qual era ne’ tempi più remoti, rozza e meschina; quivi tuttavia la moneta figurata nasce per l’artifizio della fusione, non per quello del conio. Tutto all’opposto di ciò che accadde universalmente presso gli altri popoli dell’antichità. Né breve fu il tempo in che i nostri monetieri perseverarono in quel loro primo ritrovamento: anzi se ha a giudicarsi dal numero e peso delle monete fino a noi pervenute, nonché dalla varietà del loro artifizio, siamo quasi costretti ad affermare, che forse per più centinaja d’anni durò tra noi una tal arte. Non è se non tardi che incominciasi a vedere il conio applicato alla moneta, della quale pare che in principio non sappia abbellire che una sola delle due faccie, in progresso le adorna amendue. Ella è cosa posta fuori de’ confini del nostro istituto il rintracciare chi fosse primo a darci monete di questa seconda foggia; se gli artefici della Grecia, o quelli dell’Italia, se que’ delle città meridionali, o quelli della nostra Italia media. Ma non possiamo lasciare di far riflettere agl’investigatori delle prime origini delle umane arti, che un troppo grave oltrag-
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