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108 PARTE SECONDA CL. IV.

In questa sentenza ci confermavano il busto di cavallo interpretato da noi nel senso dell’irpo tudertino ed atriano, il tridente, il delfino e la conchiglia de’ rovesci; i quali simboli sembrava ci avvisassero d’una stretta relazione tra coteste genti adriatiche e le popolazioni tirreniche, singolarmente cistiberine, le quali come si è veduto, fecero tanta pompa di cotali insegne. Ne parea di scorgere negli umbri adriatici quasi una diramazione degli umbri subapennini anche nel legame che ha la tenaglia osservata nelle monete iguvine con la testa di Vulcano impressa nel diritto della moneta coniata di Rimino. Lo scudo per noi tanto era gallico quanto de’ lucani, de bruzj e d’altri popoli dell’Italia più meridionale che l’usavano in quella stessa foggia. Rammentavamo che la collana, certamente prima che i Galli formassero nazione, presso gli egiziani, i persiani ed altre genti orientali adoperavasi come insegna d’onore; e che quindi gli umbri adriatici, come quelli che correvano anche il mare d’ oriente, potevano aver ricopiato quel costume anche prima che i Galli lo conoscessero e se l’appropriassero. La vicina Etruria ci dava esempj di somiglianti collane nulla meno che de’ lunghi peli lasciati intonsi sul labro superiore del campione di Rimino. Quantunque poi per la necessità e l’eguaglianza de’ traffici gli umbri di Rimino dovessero e nel peso e nella divisione della moneta uniformarsi agli altri popoli adriatici; pur tuttavia avvicini chi vuole l’elmo e il corno delle zecche iguvine alla testa dell’eroe, al busto di cavallo e al delfino dell’officina riminese, e si persuaderà facilmente, che nell’uno e nell’altro luogo un medesimo magistero dirigea le opere della moneta.

Tale era il nostro avviso; ma la dottrina e la critica impareggiabile del Borghesi può ben avere alla mano e ragioni e testi monj validissimi che atterrino in pochi colpi la fragilità del nostro edifizio. Il solo amore della scienza vuole che gli offriamo ad appianare alcune asprezze e difficoltà per potere di miglior animo entrare nella sua opinione. Vorremmo da prima ne indicasse una ragione per cui i Galli venuti a Rimino si dessero all’arte della moneta, mentre ne prima né poi in tant’altre parti d’Italia dove e aveano avuto e continuarono ad aver impero non ci hanno lasciata di se memoria alcuna su la moneta. In secondo luogo se le monete di Rimino sono galliche, perciò che sopra abbiamo accennato, non può dirsi che i Galli cominciassero a segnarle nel cominciamento della loro dominazione, ma negli ultimi quaranta o cinquant’anni, vale a dire negli otto o dieci lustri che precedettero il 281 avanti la nostra era cristiana, nel qual anno i Romani ebbero annientate o discacciate di colà quelle incolte genti. Ma in quel quinto secolo di Roma abolivasi nell’Italia media la fusione per sostituirle il conio ; e quella tra le zecche adriatiche che allora durava tuttavia aperta, avea già prima diminuito il peso primitivo di sua moneta, ne aveva dipoi dalle sue fabriche eliminata la fusione. E come mai è accaduto che gli adriatici di Rimino, divenuti Galli, volessero andar del pari con gli altri adriatici nel peso primitivo e nella divisione dell’asse, e volesse-