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106 | PARTE SECONDA CL. IV. |
noi trovati d’abbandonare nella descrizione di questa classe le voci triente, quadrante e sestante. Elle qui non rispondevano alla verità del fatto: talché conveniva loro sostituire le più generiche di tetrobolo, triobolo, e diobolo le quali pure sono dell’arte. In quanto alla distribuzione delle impronte, gli adriatici si attengono alle pratiche de’ cistiberini, da’ quali, come indicheremo in appresso, è molto più probabile che imparassero l’arte, di quello che dagli umbri o dagli etruschi. La virtù de’ loro artefici è dove meschina, dove al più mediocre, e vale poco più che a mostrarci la varietà delle scuole in che era tutta divisa l’Italia media.
TAVOLA I.
Nella Tavola di supplemento sotto il titolo classe IV. n. 2. avevam fatta disegnare la non rara moneta coniata di Rimino: ma poiché la singolare benevolenza e liberalità dell’eruditissimo Signor Antonio Bianchi, presidente della publica biblioteca di quella città, ne ha testè mandato di colà ad osservar un esemplare, che può dirsi un vero fiore di conio, l’abbiam fatto tantosto disegnare a comune istruzione degli studiosi sotto il frontispizio delle nostre tavole. Veggasene la descrizione che ne abbiamo data alla pagina 37. La testa disarmata di quel guerriero, il torque che cinge al collo, lo scudo che imbraccia, il pugnale che si reca sotto l’ascella sinistra, sono come gli anelli che annodano cotal moneta alle sette della serie presente, nella quale vedesi sul diritto la testa medesima di quel guerriero, e sul rovescio lo scudo e divisamente il pugnale. Parrà strano, che da noi si voglia supporre un pugnale stretto sotto la spalla o sotto l’ascella d’un combattente. Ma pure di tal costume ne abbiamo in questo museo incontrastabile esempio in un picciol bronzo rappresentante un soldato, armato appunto in questa medesima foggia. Abbiamo in animo di pubblicare fra breve un tal bronzo insieme con altri curiosi arnesi da guerra.
La forza di quel confronto si fa maggiore per la testimonianza degli osservatori di Rimino. Il commendato bibliotecario cosi di colà ci scriveva, sono già due anni. „L’opinione che la serie de’ torquati fosse di zecca riminese io la fondava su la seguente considerazione. Tutti i pezzi ch’io posseggo (meno l’asse, non conoscendone che l’oliveriano) sono stati ritrovati a mio tempo nel nostro territorio. Delle oncie me ne sono capitate sei in pochi anni: pel triente che credo inedito, mi disse il Conte Borghesi, che ne acquistò uno anch’egli ritrovato pure nel nostro paese„. Ma odasi la più ampia autorità del medesimo Borghesi in una lettera allo stesso Bianchi. „Sono stato io stesso che rispondendo al P. Secchi Gesuita, il qual mi avea parlato della nuova edizione con insigni giunte, che i suoi confratelli del Collegio Romano preparavano dell’operetta De Nummis Uncialibus, gli feci motto della di lei opinione, alla quale io aderiva,