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104 PARTE SECONDA CL. III.

gli etruschi avrebbon dovuto abbassarsi a trasportarla nelle loro città, al quale avvilimento non seppe umiliarsi la loro superbia. L’avrebbon forse voluto fare nel decorso del tempo, ma la cresciuta potenza di Roma non si accordò col loro volere.

Era venuto al trono di questa nuova città l’etrusco Tarquinio, allora che insorsero acerbe cagioni di guerra tra romani ed etruschi. Tarquinio disfece gli eserciti nemici, recò l’esterminio nelle loro terre, e li costrinse a chieder pace, la cui prima condizione fosse, che gli etruschi riconoscessero il re di Roma per capo e principe di tutte le loro città. Gli estremi a cui la nazione era condotta fecero che non si guardasse al danno e all’obbrobrio d’un tanto abbassamento. Gli etruschi confederati nella persona de’ loro rappresentanti furono a piè di Tarquinio a sanzionare il trattato, e non l’ebbero forse a piccola mercè. Ne giovi l’aggiungere che fu in quella occorrenza che gli etruschi gli recarono le insegne reali, seggio d’avorio, corona d’oro, scettro con aquila alla sommità, manto di porpora tessuta e ricamata in oro con altre vestimenta pure di porpora, alla maniera de’ re lidj e persiani, e v’ha chi aggiunge le dodici scuri come insegna del sommo potere su tutte le loro dodici città.

Queste tutte particolarità le abbiamo dal terzo libro dell’Alicarnassese, il quale se di poi nel quarto accenna il rifiuto delle etrusche città di continuare dopo la morte di Tarquinio ne’ patti a cui verso questo re si erano obligate, ricorda altresì la guerra che perciò contro loro intraprese Servio Tullio. Questa non durò meno di vent’anni, ed ebbe termine col togliere che questo re fece a vejenti, ceretani e tarquiniesi, come a primi autori di quella ribellione, una parte delle loro terre e con obligare la nazione intera a rientrare nella subordinazione da cui avea tentato di esimersi. I tempi che vennero appresso, singolarmente quelli in che i Tarquinj fecero sì gagliardi sforzi per ricuperare il trono perduto, pajono meno sfavorevoli alla libertà etrusca: ma i romani non tardarono a ritornare su le offese e a fare dell’Etruria maritima una delle più pingui loro conquiste. In tale andamento di fatti non sarebbe un’assurdità il credere, che i re di Roma introducessero nell’Etruria vicina la moneta propria e insieme quella degli altri cistiberini che con Roma avevano commercio: gli etruschi avvezzatisi per lunga tratta d’anni a questo genere di servitù converrebbe dire che non si prendessero interesse di liberarsene, quando le occasioni si presentarono a loro favorevoli. Le città subapennine tra le quali Chiusi, sede di quel Porsenna, che fu per poco a’ romani cotanto formidabile, come quelle che più erano da Roma lontane e meglio difese, colsero il buon punto ed apersero le loro officine. Conchiudiamo augurandoci che la lunghezza di questa digressione valga a liberarci da’ lamenti delle città etrusche, contra le quali abbiamo pronunziata la dura sentenza.