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98 | PARTE SECONDA CL. III. |
officine vascularie di quella gente; singolarmente se vero fosse, che Areta figliuol di Giano gliel’imponesse. Più verisimilmente può imaginarsi, che per antonomasia gli aretini fosser detti vasai, e che per insegna di gloria nazionale innalzassero quel cantaro che equivaleva al lor sopranome.
Gli studiosi dell’antica geografia avvisati che tre e non una erano nelr Etruria le città di questo nome, saranno per ventura curiosi di riconoscere, quale sìa delle tre a cui l’onore di questo cantaro s’appartiene. Non v’ha dubbio che a quella che Arezzo appellavasi senz’altro aggiunto, e che è il medesimo d’oggidì. Da questo Arezzo pare che si staccasse una prima colonia, la quale scendendo verso mezzogiorno edificò il secondo Arezzo ch’ebbe da’ romani l’aggiunto di Fidens e che in tempi forse meno remoti, se può giudicarsi dal nome, se ne dipartisse una seconda verso settentrione, la quale fondò il terzo Arezzo detto Julium. Le monete della Tavola VI. 5 in cui v’è la diota senza piede, e che provengono da que’ medesimi territori, è facile l’intendere che spettar debbono al più nobile di questi due secondi Arezzi. Noi propendiamo all’Aretium Fidens perchè nel Julium ne par vedere un’epoca meno antica. Nelle vicinanze di Todi c’imbattemmo altresì in una zecca tudertina di second’ordine, la quale segnava in forma ovale il quadrante, il sestante e l’oncia con sopra quella impronta che dice il nome di Todi. Qui l’ignobilità della diota, esclusa dalle sale e dalle mense de’ grandi, e destinata a custodire in oscure celle oglio e vino, direbbesi posta non solamente ad indicare l’inferiorità del grado di questi in confronto degli altri aretini; ma ancora a significare la condizione delle terre ove quest’Arezzo sorgea, le quali se erano addatte alle rozze anfore, non si prestavano alla fabricazione de’ vasi più gentili.
Questa seconda anfora non s’accompagna ad alcuna lettera; la prima per opposto ce ne offre ben tre diverse, il Ↄ, il , e il Μ. Ciò è che ne invita a credere, che le due monetine coniate con queste medesime diverse lettere e col , che finora nelle coniate non ne è venuto sottocchio, e fatte disegnare nella Tavola di supplemento sotto il titolo Classe III. n. 5. e 6., come quelle che con frequenza s’incontrano in Arezzo e ne’ luoghi e città vicine non possano essere uscite che dalla zecca d’Arezzo medesimo. Se non siamo in errore, le imagini che vi sono sopra, sembra che rendano testimonianza del tempo e del perchè di quella fabricazione. Nella testa dell’Etiope e nell’elefante della prima niun mai vorrà riconoscervi impronte etrusche e propriamente nazionali: straniero altresì a noi pare il cane, come straniera all’Etruria è quella testa coperta della pelle d’una fiera che non sappiamo individualmente distinguere. Non sarebbe strano il credere che gli aretini le coniassero d’ordine di Annibale per servizio dell’esercito, col quale egli occupava quella parte dell’apennino ne’ tempi prossimi alla giornata del Trasimeno, e che con quelle imagini alludessero agli elefanti, agli etiopi, agl’ispani e a’ galli, di che quell’esercito era composto. Cosi potessimo veder più