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RAGIONAMENTO | 97 |
Manca questa serie d’oncia fusa; ma dove la metropoli non ha che l’oncia fusa, qui abbiamo oncia, semoncia e quarto d’oncia coniate, come si vede nella Tavola di supplemento. Cotali monete coniate confermano l’opinione nostra intorno alla tardanza degli etruschi rispetto all’introduzione dell’aes grave nelle loro città. Imperciocché di qua noi argomentiamo che quando ciò accadde, il conio era già stato applicato alla fabricazione della moneta. Roma altresì ebbe moneta fusa e coniata contemporanea, ma l’ebbe nella seconda epoca, che è quella che a suo luogo noi chiamavamo epoca delle sue varie diminuzioni. Perugia non ci offre monumenti di tal fatta : la sua moneta non ebbe mai che un solo peso ; e questo è che ne fa riconoscere per semoncia e quarto d’oncia quelle due parti coniate minori dell’oncia. V’è anche su di esse scolpita una nota di distinzione ; perchè l’oncia ha con se il testimonio del valore nel suo solito globetto, nella semoncia vi manca ogn’indicazione, il quarto d’oncia ha la bipenne fornita d’un manichetto, che non si vede in niuna delle monete maggiori. In Todi, città umbra posta a piccola distanza da Perugia, vedemmo pur tre monete coniate di tre grandezze tra loro diverse, ma somiglianti alle tre perugine. Chi sa che dal vicino esempio non venisse Perugia eccitata a farsi propria quella istituzione?
La Tavola X. Classe I. nel rovescio delle sei sue monete ci offeriva al guardo un cratere molto somigliante a questo della Tavola V. Classe III. Allora ci avvisavamo, che come nella ruota della Tavola YIII. di quella stessa classe simboleggiavasi la voce rutuli; cosi in quel vaso vi doveva rimaner nascosto il nome o il sopranome d’un altro popolo, il quale altri forse con ulteriori investigazioni saprà un giorno additarci qual sia. Con molto maggior fiducia possiamo applicare quella maniera d’interpretazione alle monete d’una nazione, la quale universalmente pare che adoperi l’unità del suo simbolo al solo oggetto di far palese il proprio nome. Eccoci pertanto dal presente vaso posti in sospetto, se non assicurati, che questa serie in quella regione d’Etruria per cui ci aggiriamo, a niun’altra città meglio che ad Arezzo possa convenire.
In quella nobilissima provincia dell’antica Italia non v’ha luogo, che più di Arezzo sia rimasto celebre per i suoi vasellami, pregiati e ricercati anche fuori d’Etruria per l’eccellenza sì della creta finissima, sì dell’artifizio ond’erano operati. Il vasto e profittevole traffico incoraggiava quegli artisti e mercadanti a recare le loro opere a quel grado di perfezione e di raffinamento che dalle altre officine non poteva esser vinto ; e basta udire le testimonianze di Plinio, di Marziale e d’altri antichi scrittori, per rimaner convinto, che in Roma stessa in que’ tardi tempi non v’erano vasi di creta che si tenessero in migliore stima degli aretini. Non è perciò che da noi credasi, che la virtù della voce Arezzo, quale potea suonare in bocca agli etruschi, significasse vaso o vasajo. Quel nome dovè forse esser anteriore alle