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86 | PARTE SECONDA CL. II. |
venerazione in che noi teniamo amendue que’ letterati, e desidereremmo di cuore che tutte le città italiane contassero tra’ loro cittadini uomini che con pari studio ed amore attendessero a raccogliere ed illustrare le patrie memorie ed antichità. Tuttavia siamo costretti ad allontanarci dalla opinione di amendue. Non prendiam noi ad esame una moneta isolata, com’eglino han potuto fare: ci studiamo d’interpretare tutte quelle che incontriamo di questo genere, e su tutte pronunziamo la nostra opinione comparativa. In questa comparazione non può crear meraviglia, se abbiam veduto ciò che essi non han potuto ravvisare.
Quando fosse vero, che Ereto avesse dati i natali a quel quadrante, questo formerebbe parte delle monete della nostra prima classe, nella quale comprese sono tutte le monete sabine; se pur la Sabina ha avuto mai moneta propria; ciò che per noi è finora molto ubbioso. Perciò il quadrante del Vermiglioli accordar dovrebbesi con l’altre tutte monete della prima classe, in quanto dovrebb’essere sfornito d’ogni epigrafe ed avere un peso a quello della intera provincia proporzionato. Qui invece e il peso trovasi in una grave discordanza, e l’epigrafe ne conduce ad una terra che se non è gran fatto da questa lontana, è al certo dalla Sabina diversa.
Così se il De Minicis si fosse apposto al vero, il quadrante perugino dovrebbe collegarsi con le altre monete picene tanto nel peso quanto nella epigrafe. Ma la discordanza è quivi manifesta nulla meno che nel caso precedente. Mercechè le vere monete picene che son quelle d’Atri, o pesano, se sono assi, quattordici delle nostr’oncie, o se sono parti di asse, rispondono a queste medesime quattordici oncie, se non anche ad un peso maggiore. Un quadrante relativo ad un asse d’otto oncie crediamo che non potrà mai congiungersi alle quattordici oncie della libra picena. E quando non volesse farsi alcun conto di questa disunione, l’epigrafe basterà sola a togliere a quella provincia questa moneta. Eccone il perchè. Atri è città picena, e Fermo altresì è città picena. Ma Atri si dà a conoscere con una iscrizione tutta latina HAT. Dunque se Fermo vuol mostrare se medesima nella lingua del paese, deve anch’essa far uso della medesima lingua: dunque non possono essere i fermani que’ che hanno scolpita l’epigrafe tutta umbra od etrusca su la moneta del museo di Perugia.
Esclusi i cistiberini, esclusi i popoli adriatici da un tal possesso, non rimangono che gli etruschi e gli umbri che se la possano tra loro contrastare. Ma chi guardi al sestante del n. 9., che noi qui publichiamo congiunto al quadrante, e confronti queste due monete con le undici tavole che costituiscono la nostra classe etrusca, si convincerà facilmente, che neppure all’Etruria questa moneta può appartenere. Perciocché la moneta etrusca non fa che ripetere le due imagini dell’asse nelle parti minori che costituiscono la serie: laddove qui in due monete d’una medesima officina abbiamo quattro imagini diverse.