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84 | PARTE SECONDA CL. II. |
AGRI LATINI PICENTIVM MARTIORVM. L’erudizione con che quel dotto maestro sì argomenta d’ illustrare quel testo è pur molta; ma a fronte del rispetto che noi gli professiamo, la troviamo applicata con qualche violenza. Nella nostra consanguinità de’ latini con gl’iguvini l’interpretazione riuscirebbe forse più spontanea e naturale. La stessa ruota che qui abbiamo, sarebbe una nuova dimostrazione della presenza de’ rutuli e de’ latini nelle terre degl’iguvini, la quale toglierebbe ogni maraviglia intorno al nome di campo latino posseduto da piceni divoti a Marte, che portava una parte di quel paese. Se la storia fosse stata meno avara verso tutti i primitivi popoli della nostra Italia, con altri documenti di molto maggior forza potremmo forse confermare questo nostra opinione.
Della significazione de’ simboli scolpiti su queste monete non si potrà discorrere con bastevole ragione, finché non sieno tutte conosciute e non se ne sieno vedute tutte le scambievoli relazioni. Direm tuttovia, che il grande astro dell’asse e del semisse probabilmente ne rappresenta il sole; nel rovescio v’è la luna con quattro astri minori, i quali potrebbon forse riferirsi a’ quattro pianeti maggiori, che a quelle genti erano meglio conosciuti. Nel semisse del n. 3. v’è pure la luna, e con essa Venere effigiato nell’astragalo: nel rovescio poi i due piccoli astri possono appartenere a’ dioscuri. Il corno d’ abbondanza e il grappolo d’ uva indicano qui, come in Todi, la munificenza del sommo padre Giove: l’elmo è forse di quel Marte, a cui si erano affidati que’ piceni dell’agro latino, de’ quali testé abbiam parlato, le tenaglie spettano a Vulcano, che ci si mostrerà altresì nell’Umbria adriatica.
Gl’iguvini nelle cose dell’arte si rimangono al di sotto de’ tudertini. Pare non sappiano effigiare neppur una delle varie teste che sarebbono richiamate da que’ loro simboli, e non v’è che da fermar l’ occhio sul loro corno d’abbondanza, per intendere di qual ingegno e attitudine di artisti erano provedute le loro città quando segnavano queste preziose monete. Qual fosse precisamente un tal tempo, non è facile il determinarlo. Il peso delle dieci monete di questo museo, tra le quali il secondo e il terzo semisse richiamano con bastevole accordo un asse di sett’oncie. Da ciò potrebbesi argomentare che la moneto iguvina sia di origine alquanto posteriore alla più antica tudertina, ma anteriore a quella degli etruschi, che è nella classe seguente.
Non isfuggirà alla perspicacia degli studiosi della paleografia e della grammatica umbra la forma dell’ultima lettera di quelle epigrafi, la quale non pare un I, ma forse un S voluto dalla declinazione del nome, per indicare la pluralità delle tribù, delle quali componevasi tutto la nazione.