Pagina:L'acqvedotto pvgliese le frane ed i terremoti.djvu/15


— 16 —

che anche i due secoli anteriori a quelli presi in considerazione non furono meno fatali per la regione interessata dalla grande opera. Così per il secolo XV ricorderemo soltanto che l’intera conduttura nel tronco considerato viene a trovarsi entro l’area mesosismica del terremoto del 1456, i cui terribili effetti sparsero il lutto e la desolazione entro una ampia area che si stende da Aquila negli Abruzzi ad Acerenza in Basilicata, e produssero danni rilevanti anche alla regione pugliese.

Passando poi al secolo XVI aggiungiamo solo che gran parte dell’area che a noi interessa è compresa nella zona delle rovine di un altro memorando terremoto, quello del 1561, che colpì in moda speciale la Terra di Lavoro, il Principato Citra e la Basilicata.

Così possiamo conchiudere che la località di presa e buona parte di quella del canale principale da Caposele al Vulture in ciascuno dei secoli XV-XIX furono colpite per lo meno da uno fra i più violenti e distruttori massimi sismici dell’Italia meridionale.

A rendere più malfido sismologicamente parlando tale regione oltre alla elevata attività dei centri proprii ed a quella dei focolari ad essa circostanti — le cui terribili manifestazioni, come abbiamo detto, la rendono tristamente celebre nella storia delle pubbliche calamità — concorre la natura del suolo poco coerente e predisposto a franamenti che esagera gli effetti dannosi dei terremoti stessi.

Bisogna aver visto, come agli scriventi è più volte toccato, una regione scossa da un terremoto disastroso. Nella zona mesosismica e specie nella epicentrale si determinano frane anche colossali, che poi lentamente e per lungo tempo si muovono; spaccature lunghe e profonde, avvallamenti, salti, sconvolgimenti di terreno, formazioni di laghi e mutazioni permanenti nel regime delle sorgenti, insieme a molti altri fenomeni fanno comprendere la violenza spiegata dalla interna concussione, che non risparmia nemmeno le mure massiccie dei più robusti edifici, le quali vengono infrante, spaccate e sconnesse in modo vera mente miserevole.

Certo sarebbe follia il pensare che i soli acquedotti possano sfuggire a tanto sconquasso: ricorderemo prima di concludere due esempi a tal uopo assai istruttivi. A Messico il 19 giugno 1858 in occasione di un terremoto, uno dei più violenti che abbiano colpito la città, le grandi arcate dell’acquedotto, durante il lunghissimo tempo in cui perdurò il movimento del suolo, furon viste aprirsi per rinchiudersi tosto e riaprirsi di bel nuovo, lasciando sfuggire dalle fenditure veri torrenti d’acqua: più di cento archi furono danneggiati, ed una cinquantina di essi resi minacciosi di rovina. Messico rimase per parecchio tempo affatto priva