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libro primo. 27

appo i principi la filosofia. Non diss’ io questa filosofia scolastica, che si crede potersi accomodare ad ogni cosa; ma v’è un'altra filosofia più civile, la quale secondo le cause e i tempi difende acconciamente la ragion sua con riputazione. Questa bisogna che tu usi. Altrimenti rappresentandosi la commedia di Plauto, ove i servi gareggiano insieme, se tu vestito da filosofo, entrassi in scena, e narrassi qualche sentenza della Ottavia 1, ove Seneca disputa con Nerone, non sarebbe meglio che avessi taciuto, che recitando cose aliene, aver fatto una tragi-commedia? Avresti corrotto la presente favola, mescolandovi cose diverse, ancorché fossero migliori. In quella favola che ritrovi, portati meglio che puoi; nè ti devi porre a turbar quella, quantunque ti venga a memoria di un’altra che sia più piacevole. Cosi è nella repubblica e nei consigli dei principi. Se non puoi al tutto estirpare le sinistre opinioni, nè provvedere ai vizii già posti in uso, non però si debbe abbandonare la repubblica, siccome neanche la nave agitata dalla fortuna, quantunque tu non potessi raffrenare il furor dei venti. Non si debbe ancora replicare un parlar insolito, sapendo come non fia ricevuto negli animi che sono del contrario persuasi; ma bisogna andare per lungo circuito, e sforzarsi di condurre a buon porto quello che si tratta. Nè potendo ridurre le cose a bene, studia almeno che sieno men cattive, perchè non possono esser le cose al tutto buone, se non sono tutti buoni, e questo io non aspetto fin a molti anni. Con quest’arte, rispose egli, altro non farei, che, volendo medicare l’altrui furore, con gli altri impazzirei. Perchè volendo ragionare il vero, sono astretto a ragionare di queste cose in tal guisa. Non so se si appartenga al filosofo poi ragionare il falso, ma a me certo non appartiene; benché quel mio parlare, come che fosse a quelli forse men grato, tuttavia non mi penso che si

  1. Una delle tragedie attribuite a Seneca.