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prefazione. | xxi |
l’eloquente ladro. È quasi il supplizio di Crasso. Ci cacciano giù in gola del piombo fuso e poi ci chiedono schernendo
Dicci, che ’l sai, di che sapore è l’oro.
Altri dal libro stesso cavano materia a lunghi scilomi; ma rivolgendo i noti versi, si potrebbe dire
Che diavolo hanno in corpo questi bruchi
che sempre mangiano cose delicatissime e filano noia?
Se i lodati annoiano, gli oscuri darebbero una noia che si potrebbe appareggiare all’asfissia. Or noi non ammasseremo il carbone per questo misfatto, che tornerebbe poi ad un suicidio. Dicemmo buonamente le ragioni del nostro lavoro, e ci scuserà il non aver potuto farne di meno. Se poi in cambio della penna dell’agnolo Gabriello trovano dei carboni (eccoci di nuovo al carbone) non faremo uno sproloquio come quel frate trincato per esaltarli, nè ci faremo pagare i crocioni che insudiciano per amuleti che salvano.
Carlo Téoli.