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la citta' del sole. 99

G. M. Ma dimmi, amico, i magistrati, gli uffizj, le cariche, l’educazione, tutto il modo di vivere è proprio d’una vera repubblica, ovvero d’una monarchia o d'una aristocrazia?

Amm. Questo popolo si ricovrò quivi venendo dall’India, abbandonata da lui per scampare alle inumanità dei magi, dei ladroni e dei tiranni, che tormentavano quel paese, e tutti d’accordo determinarono d’incominciare una vita filosofica ponendo ogni cosa in comune; e quantunque nel loro paese nativo non sia in costume la comunità delle donne, essi pure l'adottarono unicamente pel principio stabilito, che tutto dovea essere comune, e che solo la decisione del magistrato, doveva regolarne l'equa distribuzione. Le scienze quindi, le dignità ed i piaceri sono comuni in modo che alcuno non può appropriarsene la parte che spetta agli altri.

Essi dicono, che ogni sorta di proprietà trae origine e forza dal separato ed individuale possesso di case, di figli, di mogli. Questo poi produce l’amor proprio, e ciascuno ama arricchire, ed ingrandire l’erede; e quindi, se potente e temuto, defrauda la cosa publica; se debole, di nascita oscura e mancante di ricchezze, diviene avaro, intrigante ed ipocrita. Al contrario perduto l’amore proprio, rimane sempre l’amore della comunità.

G. M. Adunque nessuno avrà voglia di lavorare, stando in aspettazione che gli altri lavorino per suo sostentamento; obbiezione da Aristotile mossa a Platone.

Amm. Io non seppi che ciò desse occasione ad alterchi, ma ti dico essere appena credibile l’immensità dell’amore che quel popolo nutre per la patria, ed in ciò sono superiori agli antichi Romani che spontaneamente si davano in olocausto per la comune salvezza; e così doveva essere, perchè l’amore alla cosa pubblica aumenta secondo che più o meno si è fatto rinunzia all’interesse particolare. Credo anzi, che se i monaci ed