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va; tutti i suoi valori, tutti i suoi fini sono vergognosi, perciò «tutto ciò che è odiato da esso, tutti «quelli» che da esso sono aborriti, «guadagnano di valore...» Il cristiano, il sacerdote cristiano specialmente, è un «criterium per il valore delle cose». E’ necessario anche che dica come nel Nuovo Testamento non c’è che «una sola» figura che bisogna stimare? Pilato, il governatore romano, non poteva decidersi a prendere sul «serio» una querela di giudei; un giudeo di più, uno di meno, che importa? La nobile ironia di un romano davanti al quale si è fatto un imprudente abuso della parola «verità» ha arricchito il Nuovo Testamento dell’unica parola che «abbia valore», che è la sua critica, il suo «annientamento».


XLVII.


Non tendere a trovare Dio nè nella storia, nè nella natura, nè al di là della natura; non è questo che ci divide: è, invece, il non provare il sentimento del rispetto divino verso ciò che è onorato come Dio, il trovare questo, lamentevole, assurdo, nocivo, il vedere in esso non solo un errore, ma un «attentato alla vita». Neghiamo Dio in quanto è Dio... Se ci si «dimostrasse» questo Dio dei cristiani, crederemmo ancora di meno in esso. Nella formula, «des qualem Paulus creavit, dei negati». Una religione come il cristianesimo, che non tocca la realtà in nessun punto, e che vien meno non appena che la realtà entra per un lato qualsiasi nella sfera dei suoi diritti, una religione tale sarà, di diritto, il nemico mortale della «sapienza del mondo», voglio dire, della «scienza»; essa tenterà tutti i mezzi per avvelenare, calunniare, «svalutare» la disciplina dello spirito, la purezza e la severità nei fatti di coscienza dello spirito, la nobile freddezza, la nobile libertà dello spirito. La fede, in quanto è imperativo, è il «veto» contro la scienza; «in praxi» la menzogna ad ogni costo... San Paolo «comprese» che la menzogna — che la «fede» — era necessaria; e la Chiesa piú tardi «comprese» San Paolo. Questo «Dio» che San Paolo si è inventato, un Dio che «riduce al nulla» la «sapienza del mondo» (in un senso più stretto i due massimi avversarii di ogni superstizione, la filologia e la medicina) non è altro in realtà che la «decisione», presa da San Paolo, di chiamar «Dio» la propria volontà,