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brione della «décadence» infermiccio e decrepito. Bisogna dire che pesa su di loro una maledizione, se non l'hanno finita con esso: hanno accolto in tutti i loro istinti l’infermità, la vecchiezza, la contraddizione: — e da allora in poi non han «creato» nessuno Dio. Quasi due mila anni e non un solo Dio nuovo! Sussiste invece ancora, e quasi per diritto, — quasi un «ultimatum», un «maximum» della forza creatrice del divino, del «creator spiritus» dell'uomo, - questo Dio pietoso del monoteismo cristiano, questo ibrido edificio di smoccolature di ceri, idea e contraddizione ad un tempo, in cui tutti gli istinti della «décadence», tutte le viltà e tutte le stanchezze dell'anima trovano la loro sanzione.


XX.


Non vorrei con la mia condanna per il cristianesimo, aver offeso una religione che è a quello affine, e che lo supera nel numero dei credenti: il «buddismo». Ambedue hanno delle attinenze in quanto sono religioni nihiliste — religioni di «décadence», — ma son tuttavia differenti in modo singolare. Il critico del cristianesimo è profondamente grato ai sapienti indiani, perchè ora si possono «comparare». — Il buddismo è mille volte più realista del cristianesimo, — ha, per eredità, la facoltà di saper porre i problemi con freddezza ed obbiettività; sorge dopo un movimento filosofico di vari secoli; quando esso giunge, l'idea di «Dio» è già fissata. Il buddismo è l’unica religione veramente «positiva» che ci mostra la storia, perfino nella sua teoria della conoscienza — (un pretto fenomenalismo,) — e non dice infatti «lotta contro il peccato »; dando invece ampia ragione alla realtà, la chiama «lotta contro il dolore». Ha già lasciato dietro di sè — e ciò lo divide profondamente dal cristianesimo, — il proprio inganno sui concetti morali; — si trova, per usare la mia terminologia, «al di là» del bene e del male. I «due» fatti fisiologici su cui si basa e che considera sono: primo, un'ipertrofia della sensibilità, che si manifesta con una raffinata facoltà di soffrire, «quindi» un’iperspiritualizzazione, una vita troppo sprofondata nelle idee e nei processi logici, in cui l’istinto personale ha sofferto a vantaggio dell’ «impersonalità». (Due stati, che almeno alcuni miei lettori, gli «obbiettivi», conosceranno, come