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con cui egli ora scavava, ed or solamente verificava; che si leggono con sorpresa ne’ suoi pochi fogli manoscritti, or chiaramente accennate, ed or quasi direi vaticinate, varie cose scoperte dopo la sua morte. Il secondo mezzo, a cui egli si appigliò, fu quello di misurare da se medesimo a palmi romani con maravigliosa costanza, non solo il totale del Colossèo, ma tutte eziandio le più piccole parti che lo compongono, le interne e l’esterne, le patenti e le nascoste, le esistenti e le mancanti; prendendo lume da quelle che esistono, per fissare con sicurezza architettonica tutte quelle che mancano. A tenore di queste misure, nell’esecuzione del suo lavoro ridusse egli il tutto, ed ogni parte di esso, all’esatta proporzione, che ha il minuto relativamente al grado del circolo, oppur all’ora del tempo, che è quella dell’uno al sessanta. A queste utili e faticose occupazioni dedicò il Lucangeli, quasi per intiero, gli ultimi ventidue anni di sua vita, con applicazione tanta e sì indefessa, che ne contrasse insensibilmente la dolorosa infermità, che giunta poi al suo colmo, gli cagionò la morte ai 27 di Novembre del 1812, nell’età di anni 65.

Avendo lasciata l’opera essenzialmente compita, mancante però di parecchi voltoni e gradini, e delle decorazioni e politure, che meritava la dignità del lavoro; il di lui genero Paolo Dalbono, giovine inclinato al meccanismo, ed istruito ancora dal benemerito suocero; presi alcuni artisti in ajuto, intagliatori, e pittori, l’ha ridotta in breve tempo a tutta quell’esatta perfezione, che può dal pubblico desiderarsi; senza mai essersi discostato un punto dalle idee ed intenzioni del primo e rispettabile autore. La copia de’ sotterranei