Pagina:Kulmann - Saggi poetici.djvu/74


— 72 —

     Di Venere all’amore?
     Ed io, cui riserbata
     155Fu dal Destin tal sorte,
     Consentirei ch’ell’abbia
     Ad arrossir, se in cielo
     Un rifiutato Nume
     Le rammentasse un giorno
     160Il debole, codardo
     (Che tal mi chiameria),
     Inglorioso amante?
     Non mai. D’Adone il nome
     Per Venere non fia
     165Cagion d’onta o di duolo.
     Orridi mostri e fieri
     Combatterò: fia meglio
     Ch’a lor soggiaccia impria
     Anzi che Vener deggia
     170Arrossendo pentirsi
     D’aver Adone amato.
     Chè un alto cor, può solo
     L’uomo uguagliare ai Numi.»
E in così dir l’aurato
     175Bell’arco della Dea
     Baciò: quindi nel vago
     Di lei giardin l’appese.
Tra le ondeggianti piante
     Da zeffiri agitate,
     180Quel fiorito ricinto
     Un’isola parea,
     Che tutta gigli e rose
     De’ Numi eletta stanza
     Era, qualor scendeano
     185Dal cielo in sulla terra.
Poi che di Citerea
     Ebbe l’armi sospese,
     All’arco avito corse
     Ed alle freccie usate,
     190Certo di lor vittoria;
     La scimitarra indossa,
     Del cacciatore audace
     O l’ultima speranza
     O l’estrema difesa.
     195Alfin brandì la lancia,
     Che Meleagro istesso
     Usò per valli e boschi
     In seguendo le belve
     Ne’ caledonj monti.
     200«Lancia,» ei dicea, «tu credi
     Ch’io di te indegno fia:
     Ma ben vedrai se al pari
     Di Meleagro io sappia
     Omai trattarti anch’io.»
     205Disse ed ardimentoso
     Entrò della foresta
     Nel più folto ricinto.
     E fra gli innumerevoli
     Abitator del bosco
     210I deboli sprezzando,
     Pugnava contro i forti,
     Di sangue ingordi sempre.
Frattanto i sacri cori
     In note armonïose
     215Dipingono, qual nacque
     La vaga Citerea
     Dalla spontanea spuma
     Dell’attonito mare,
     E salì sulle sponde
     220D’un’isola che porta
     Il di lei sacro nome;
     Dipingono, qual prima
     Uscì dal sen del mare
     Quell’isola, figliuola
     225De’ sotterranei fuochi,
     Ignudo e nero scoglio
     Ai vicini spavento.
     Ma il guardo creatore,
     Della nascente Dea
     230L’involve d’un ammanto
     Di variopinti fiori
     E d’un ombroso bosco
     Carco di frutti d’oro.
Ma Venere quei canti
     235Non udiva, gli incensi
     E le preziose offerte