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LA ROSA
Un dì fra sè Ciprigna
Dicea: «Se già Prometeo
Potè con vile argilla
L’uomo crear, e l’anima
5A lui donar con fiamma
Tolta all’eterea sede;
Perchè non condurrei,
Io figlia del gran Giove,
A desïata fine
10Un simile disegno?
Non vidi io spesse volte
Lo sposo trasformare,
Mediante il fuoco e l’arte,
Rozzissime sostanze
15In placide figure,
Di vita e senno piene?
Or se riesce a lui
D’illudere lo sguardo
Con opere divine;
20Perchè, possente Nume
Della beltà, sol io
In van lo tenterei?»
E nel momento istesso
Ella sen va togliendo
25Alle api numerose
Della fiorita Rodi
La cera la più pura,
Con nettare la mesce,
L’impasta e l’apparecchia.
30Colle divine mani.
Seco prende i colori,
Che le donò l’Aurora,
E se ne va nel chiuso
E vasto suo giardino.
35Colà, seduta in riva
D’un limpido laghetto,
Copiando l’ombra sua,
Che splende come in speglio,
Ad imitar si pose
40Nell’ubbidiente cera
La vaga e lieta fronte,
Le maestose ciglia
Vezzosamente arcate,
Il seducente sguardo,
45Le guancie morbidette,
Le tumidette labbia,
Molle nido d’Amore,
E l’ondeggiante e lunga
Sua foltissima chioma,
50Che a lei scherzando cade
Sovra le nivee spalle,
Qual ampio manto d’oro.
Sta il lusinghier ritratto
Innanzi a Citerea,
55Che nel paragonarlo
A quello che risplende