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Quando non potè più scrivere, dettò: rivide tutti i suoi scritti, compì le traduzioni che ne avea fatte in tedesco e in italiano, rilesse le opere de’ suoi autori prediletti. Il corpo che racchiudeva quella bella vita era consunto, ma l’anima in tutto il suo vigore spandeva intorno gli ultimi lampi d’una fuggente luce: tutto ad un tratto le sue forze ritornarono: ella offrì lo spettacolo sublime del trionfo dello spirito sulla materia. L’anima sua più che mai attiva pensava e operava quasi che ignorasse che il compagno del suo pellegrinaggio quaggiù, stava per abbandonarla per sempre.

Il 19 novembre (1825) molti fra suoi conoscenti circondavano il suo letto di dolore. Sentendosi tutto ad un tratto venir meno in modo inusitato, pregò la madre e gli astanti di andare in un’altra stanza, e poco dopo richiese un sacerdote. Apparve: ed avendogli già amministrato i sacramenti, ella lo pregò di leggerle, in quell’ora che sapeva esser l’estrema, la preghiera degli agonizzanti. Mentre il sacerdote leggeva, ella si volse su di un lato, appoggiò la testa ad una mano, mise un sospiro, e di Elisabetta Kulmann, altro non rimase fuorchè un cadavere pallido e consunto.

Nel cimitero detto di Smolensk, s’innalza un monumento in marmo di Carrara eseguito da Alessandro Triscorni abile scultore, che seguendo il gusto de’ bei tempi della Grecia ha rappresentata una vaga e giovine donzella stesa sul suo sepolcro, colla testa appoggiata sulla mano sinistra: tutto il sarcofago è ornato di foglie d’acanto, in mezzo alle quali scorgesi una rosa svelta dallo stelo. Sui quattro lati del piedestallo sono incise delle iscrizioni in lingua slava, greca, latina, e in tutte le lingue dell’Europa. Fra le altre ve n’è una spagnuola, della quale ecco il senso:

«Dio l’inviò sulla terra, non per lasciarvela, ma per mostrarci l’opera sua.»

Sotto quel monumento riposano le spoglie mortali d’Elisabetta Kulmann. È dovuto alla munificenza di S. M. I. l’imperatrice Alessandra, e di S. A. imperiale la granduchessa Elena.