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diveniva austero e grave, tutto sembrava dinotare che era in uno stato di sofferenza. Parea quasi che fosse sotto l’influenza di una forza misteriosa, e di un potere irresistibile. Ma quello stato non era di lunga durata. In breve tempo, lo sguardo ritornava sereno: e lasciato impetuosamente il posto ov’era seduta, percorreva rapida mente la sua stanza; tutto il suo corpo riprendeva la sua sveltezza, ed il suo volto fatto maestoso diveniva sfavillante di gioia e di vita. In quel momento l’anima sua trionfante in quell’ora per lei sacra, potea dire: «L’opera mia è compita.» E qui ne giova osservare un fatto fisiologico, assai straordinario: in quei momenti le sue mani si facean freddissime, e passeggiando ella le stropicciava sempre insieme onde riscaldarle.

E pur tuttavia, chiunque l’ha conosciuta, e ne ha dati questi pochi cenni intorno la vita sua, ne ha accertati, che a fronte di tante qualità, Elisabetta era timida, a meno che un impulso estraneo la muovesse. Famigliarmente conversando con lei niuno avria potuto credere intrattenersi con una donzella ricca di tante cognizioni, e che parlava in quasi tutte le lingue dell’Europa moderna, e versatissima nel greco antico e nel latino. Quell’anima virginale non conosceva il prestigio degli encomi, tributo concesso ai grandi ingegni: essa amava la gloria, ma non il chiasso. La scorgevi spesso pensierosa, alcune volte animatissima, ma però sempre modesta, cortese e lontana da qualsiasi pretesa. Era impossibil cosa il tenerla per autrice. Ella copriva col più profondo secreto i frutti delle sue poetiche ispirazioni. Il solo signor Grossheinrich conosceva e partecipava a quelle preziose offerte ch’ella deponeva sull’altare delle Muse. No, essa non avea nulla che dinotasse in lei una donna sapiente, e forse è morta appunto onde non acquistare quelle apparenze. Essa era soltanto una carissima creatura, che occupava il luogo il più eminente nella vasta umana famiglia. La ricchezza del cuor suo la spronava a scrivere: ella desiderava che un giorno il suo nome fosse noto, i suoi scritti fosser letti. E chi non nutre il desio d’esser inteso ed apprezzato? Ella era un angiolo sceso sulla terra, che il cielo ne rapì al suo