Pagina:Kulmann - Saggi poetici.djvu/26


— 24 —

sacro delle Muse. Quivi, in pegno della sua piena riuscita, offri il primo sacrifizio colle primizie delle sue ispirazioni e del suo genio poetico.» Per intenderlo completamente ella, leggendo l’Iliade e l’Odissea, studiò in pari tempo lo spirito, i costumi, la istoria e la geografia della Grecia. Pausania fu la sua guida. Vi apprese tante cognizioni, e così ben rammentossene che niuno avrebbe potuto immaginare di ritrovarle in una fanciulla che nulla avea di pedantesco e di ricercata ostentazione. Ma nutrì per tutto il tempo del viver suo una santa venerazione per Omero: ella ammirava la grandezza veramente gigantesca del suo lavoro: quella inesauribile varietà, quella dignità severa, a cui punto nuoceva quella leggiadra facilità. Ciò che più la sorprendeva nell’Iliade, si era quella grazia soavissima mista a quello spirito guerriero, indurito fra le pugne degli déi e dei mortali. A parer suo l’autore di tanto prodigio era stato senza dubbio il più grande artefice, e nell’entusiasmo dell’ammirazione sua essa si studiava di cogliere e far proprio lo slancio di quel genio.

Con tanta dote di cognizioni filologiche, lo studio delle altre lingue fu per Elisabetta un vero giuoco. In poco tempo conobbe la letteratura inglese, la spagnuola e la portoghese. Tradusse in tedesco alcuni frammenti del Paradiso perduto di Milton. Volse dallo spagnuolo in italiano le favole d’Iriarte, e dal portoghese tradusse in russo e in tedesco trenta odi di Manoel. Ma non paga di questi studi voleva imparare le lingue orientali. Ella avea fatti di già tali progressi nel greco moderno, che un Elleno rifugiato in Russia per i torbidi che laceravano la sua patria, parlando la propria lingua con Elisabetta che non sapeva esser russa, la credè greca di nascita, e giudicandola dalla pronunzia, la stimò nata in un’isola dell’Arcipelago. A confermare si fatta credenza influirono forse non poco i tratti del suo volto che potea dirsi greco.

Cerchiamo ora di dare qualche idea intorno alle opere sue. Noi crediam fermamente che niun uomo sia tenuto, e pel suo meglio e per l’altrui, di stampare quanto ha pensato e sentito nel corso del viver suo: e parimente teniam per certo che il titolo di autore non