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FILOTA
ANTIGENIDE A TIMOTEO
È giunta l’ora, o amico,
Che, percorrendo le ampie
E sì ricche cittadi
Di Grecia, alfin ti mostri
5Per la comune nostra
E per la patria fama,
Umile qual tu sei,
Ingiurioso ben fora
Il rammentar del fiero
10Icaro la sventura;
Ma al timido sia norma
L’avventura d’Eunomo,
A cui, come t’è noto,
Or la mia fama io deggio.
15Grazie ne rendo ai Numi
Ed a Teleste (spesso
Così Eunomo diceva)
Se gareggiar sul liuto
Dalla tenera etade
20Potei coi più famosi
Suonator dell’Ellade.
Rimanere io bramava
Molti e molt’anni anniancora
Presso al dotto Teleste;
25Ma il genitor perdei
E fui l’unica speme
De’ giovani fratelli
E della cieca madre,
«Va,» mi disse Teleste,
30«Ossequïoso ascolta
Del dover tuo la voce,
E de’ Numi ti affida.»
Egli mi diede un liuto,
Che modesto e sonoro
35S’addiceva allo stato
Della miseria mia.
Nel visitar le ricche
Cittadi dell’Esperia,
Acquistai dappertutto
40E fama, e doni, e amici.
Uno fra lor consiglio
Benevolmente diemmi
Di contender la palma
Ne’ popolosi giuochi
45Della famosa Locri.
Non creder no, che brama
Di ricchezze e di fama
Coraggio a me ispirasse,
Ma sol desio crescente
50D’assicurar la sorte
De’ giovani fratelli
E della cieca madre.
E di fiducia pieno
Negli immortali Dei,
55Timido a un punto e ardito
Verso Locri m’invio.
Nell’antico querceto,
Dove sorge venusta
Di Zaleuco la tomba,
60Allo spuntar del sole