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Guidata no, chè i passi
     Le mancano, è portata
     Là dove i sacerdoti
     124L’attendono sull’ara.

Ai sacerdoti in mezzo
     Torbido sta Coreso,
     Brilla negli occhi suoi
     128Un orrido sorriso.

Ei con una man tiene
     La tremante fanciulla;
     E coll’altra l’ingordo
     132Ferro folgoreggiante.

Egli disse: «Ecco il frutto
     Della superbia tua,
     Che, misera, t’indusse
     136Ad irritare il Dio.

Se voluto l’avesti,
     Ambo sarem felici!
     Vano pensier! Se ’l puoi,
     140Sia tu sola felice!»

E piombò con isforzo
     L’acciar nel proprio petto.
     La folla inorridisce
     144Sgorgar veggendo il sangue.

Ma qual da lungo sonno
     Letargico svegliata:
     «Io vivere, disse ella,
     148Dopo lui, per me estinto?

No. Se vivente tua
     Io già non fui; morendo
     Io tua sarò; tu accetta
     152L’amplesso mio, ti seguo!»

Tratto l’acciar fumante
     Dell’amante dal petto,
     Come d’amor furtivo
     156Pegno, nel sen se ’l caccia.

Scesero l’alme loro
     Giunte inverso Plutone,
     Le lor terrene spoglie
     160Questa tomba ricopre.

Ambidue nelle estive
     Calde notti sovente
     Abbandonano l’atra
     164Sotterranea lor sede,

E, scintillanti stelle,
     Volano insiem scorrendo
     Le paludose sponde
     168Del capriccioso fiume.

E con piacer le mira
     Il pastore la notte,
     E dall’apparir loro
     172Opime messi augura.

Ma tosto che l’aurora
     Indora le lontane
     Arcadiche montagne,
     176Tornan essi sotterra.