Seccò nel cor materno, 130Eccettone sol una:
L’eterna rimembranza
In un dolce e acerba
Della perduta prole.
Danzando intuona il coro 135Quell’inno antico a Flora:
Come l’aurore estive
Somigliando fra loro,
Per te tra lor somigliano
In secoli così.
140Noi, della terra figlie,
Quali terrestri fiori,
Per sempre colla state
Perdiamo la beltà.
Non già chiediamo, o Diva, 145A te beltade eterna,
Ma sol che lieta scorra
La nostra gioventù.
Cessò la danza e il canto:
Chiamano gli abitanti 150Della valle a lieta
E ricca mensa l’ospite
O lo stranier, da’ Numi
Mandato lor quel giorno.
Allor che soddisfatta 155Fu l’importuna fame,
Le numerose turbe
S’adunaro di nuovo
In ordine solenne
Per visitare il vago 160Boschetto, che da tempo
Immemorabil porta
Il nome di Palagio
Boscareccio d’Elisa.
Là ’ve dall’alta cima 165Degli scoscesi sassi
Figlio dell’arte, il fiume
Strepitoso discende,
Qual immensa colonna
Di lucido diamante, 170Nell’olezzante valle;
Poi, colorita nebbia,
Lento lento rimonta
Là donde rovesciava:
Vicino alla caduta, 175E in mezzo alle già chete
E chiare onde, che quivi
Momentanee due braccia
Formano, giace vaga,
Mirabile isoletta. 180Egli fu là, ch’Elisa
Ne’ secoli trascorsi
Pensierosa si stava,
Gli occhi pieni di pianto,
Bramando dare aita 185Ai miseri abitanti,
«Qui gli avi nostri (disse
L’uom che in la valle alberga
Al giovine straniero)
Molte quercie piantaro 190Che otto lati formavano.
I nepoti imitaro
L’esempio lor, piantando
Intorno all’alte quercie,
In guisa di vastissime 195Quadrangolari stanze,
I platani frondosi,
E nominaro il tutto
Il Palagio di Elisa.
Ecco la celebrante 200Turba al sinistro braccio
Di bipartito fiume.
Sovr’amendue le sponde
Sorgono otto vetuste
Quercie enormi, dagli anni 205Più teneri piegate
Tutte a curvarsi in arco
Acciò che le lor cime
S’incontrino sull’onde.