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nell’anima della sua giovine figliuola, con tutti i mezzi immaginabili. Nel Vassili−ostrof, in una capanna sdrucita, presa in affitto con modicissima somma, viveva questa fanciulla, cui, appena il lavoro il più assiduo della povera madre procurava il tozzo quotidiano: e quivi, nel suo isolamento dalla società, si preparavano nonostante i più rari talenti cogli sforzi i più straordinari. La natura gode di compire l’opera sua misteriosamente e nel silenzio: direbbesi quasi che gelosa della sua gloria essa non voglia che gli uomini la bruttino col parteciparvi. Ma a dì nostri così fertili di idee grandi, e di anime meschine, si crede comunemente che la felicità debba essa stessa venirne in traccia di noi, e che la gloria debba senza nostra fatica alcuna incoronarci col lauro degli eroi. «Credete voi forse,» mi diceva un uomo d’ingegno, il quale avea sete non men d’oro che di gloria, e che lanciato nello studio delle lettere avea scritti due libri, uno in prosa l’altro in verso, e fattili di publico diritto, benchè privi di buon senso, erano stati facilmente venduti, «credete voi ch’io faccia tutto ciò di che sarei capace? Credetemi, la metà di quanto v’ha in me di grande, di bello e di sublime, è perito nel punto istesso che stava per mostrarsi.» Quindi aggrottando le ciglia a guisa di Byron, ed incrocicchiando le braccia sul petto, «Il destino,» disse, «ha coperta di spine la via ch’io percorrea, e gli uomini non mi hanno capito.» In questo modo parla gravemente la turba intiera de’ geni de’ giorni nostri. Ma è colpa loro, se si compiacciono di sognare vegliando le grandezze? Se non godono a fare cose belle, e a comporre opere esimie che allorquando vi si trovano ben disposti, collo stomaco satollo e la testa libera da impacci e cure? Altre volte non accadea così. Cervantes scrisse quell’opera sua così gaia e piena di spirito, rinchiuso in prigione. Ma altri tempi, altri costumi.

Preveggo il temporale che scateneranno sopra di me i leggitori per questa lunghissima digressione, e mi affretto di riprendere l’argomento abbandonato. Ne’ primi anni della sua infanzia Elisabetta godè di pochissima salute, così che la madre temè per la vita di lei. Compiti i cinque anni cominciò a svilupparsi acquistando forza, e da quel