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prefazione alla prima edizione 7

giando il linguaggio della scuola in un tono popolare, appena vogliono riflettere su qualche oggetto, ricadono inevitabilmente in quelle affermazioni metafisiche, verso le quali ostentano tanto disprezzo. Frattanto, questa indifferenza che s’incontra proprio in mezzo al fiorire di tutte le scienze, e che tocca appunto quella, alla cui conoscenza, se fosse possibile averne una, meno si vorrebbe rinunziare, è un fenomeno che merita attenzione e riflessione. Non è per certo effetto di leggerezza, ma del giudizio ponderato dell’età moderna, che non vuole più oltre farsi tenere a bada da una parvenza di sapere, ed è un invito alla ragione di intraprendere nuovamente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sè, e di erigere un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi; e questo tribunale non può essere se non la critica della ragion pura stessa1.

Io non intendo per essa una critica dei libri e dei sistemi filosofici, ma la critica della facoltà della ragione in generale riguardo a tutte le conoscenze alle quali essa può aspirare indipendentemente da ogni esperienza; quindi la decisione della possibilità o impossibilità di una metafisica in generale, e la determinazione così delle fonti come dell’ambito e dei limiti della medesima, è tutto dedotto da principii.



  1. Si sentono assai spesso lamenti sulla povertà di pensiero del nostro tempo e sulla decadenza della scienza solida. Ma io vedo che le scienze, le cui basi sono ben fondate, come la matematica, la fisica, ecc., non meritano punto simile rimprovero, chè anzi mantengono la vecchia fama di solidità, e negli ultimi tempi l’hanno piuttosto accresciuta. Lo spirito, che è appunto lo stesso spirito, si dimostrerebbe produttivo anche negli altri campi del conoscere, solo che si fosse curata bene la rettificazione dei loro principii. Mancando la quale, indifferenza, dubbio, e infine critica rigorosa son prova, più che di povertà, di profondità di pensiero. Il tempo nostro è proprio il tempo della critica, cui tutto deve sottostare. Vi si vogliono sottrarre la religione per la santità sua, e la legislazione per la sua maestà. Ma così esse lasciano adito a giusti sospetti, e non possono pretendere quell’incondizionata stima, che la ragione concede solo a ciò che ha saputo resistere al suo libero e pubblico esame (N. d. K.)