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154 logica trascendentale

dimensione; come anche che noi, per determinare la durata o anche la posizione nel tempo di tutte le percezioni interne, dobbiamo continuamente ricorrere a ciò che le cose esterne ci presentano di mutevole, e dobbiamo perciò ordinare le determinazioni del senso interno nel tempo, in quanto fenomeni, allo stesso modo che nello spazio ordiniamo quelle dei sensi esterni; quindi, se per questi ammettiamo che con essi noi conosciamo gli oggetti solo in quanto siamo modificati dal di fuori, anche per il senso interno dobbiamo ammettere, che con esso intuiamo noi stessi soltanto come veniamo interiormente modificati da noi stessi: ossia, per ciò che riguarda l’intuizione interna, noi conosciamo il nostro proprio soggetto solo come fenomeno, ma non già per quel che esso è in se stesso1.


§ 25.

Al contrario, io ho coscienza di me stesso, nella sintesi trascendentale del molteplice delle rappresentazioni in generale, e perciò nell’unità sintetica originaria dell’appercezione, non come io apparisco a me, nè come io sono in me stesso, ma solo che sono. Questa rappresentazione è un pensare, non un intuire. Ora, poichè per la conoscenza di noi stessi, oltre all’operazione del pensiero, che riduca all’unità dell’appercezione il molteplice di ogni intuizione possibile, si richiede anche una determinata maniera di intuizione, onde questo molteplice venga dato; così la mia propria esistenza non è per vero fenomeno (e



  1. Io non vedo come si possa trovare tanta difficoltà in questo, che il senso interno venga modificato da noi stessi. Ogni atto di attenzione ce ne può fornire un esempio. L'intelletto in essa determina sempre il senso interno, conforme all’unificazione che esso pensa, per avere l’intuizione interna che corrisponde al molteplice nella sintesi dell’intelletto. Ognuno potrà percepire in se stesso quanto venga comunemente modificato in tal modo lo spirito. (N. di K.)