Pagina:Kant - Critica della ragion pura, vol. I, 1949, trad. Gentile-Lombardo.djvu/148

126 logica trascendentale

CAPITOLO II

Deduzione dei concetti puri dell’intelletto.

SEZIONE PRIMA


§ 13.

Dei principii di una deduzione trascendentale in generale.

I giuristi, quando trattano di facoltà e pretese, distinguono in una questione giuridica quel che è il diritto (quid iuris) da ciò che si attiene al fatto (quid facti); ed esigendo la dimostrazione dell’uno e dell’altro punto, chiamano la prima, quella che deve dimostrare il diritto, o anche la pretesa deduzione. Noi ci serviamo di una quantità di concetti empirici senza nessuna contraddizione; e ci riteniamo autorizzati, anche senza deduzione, ad attribuir loro un senso e una portata quale noi ce l’immaginiamo, perchè in ogni tempo noi disponiamo dell’esperienza per provare la loro realtà obbiettiva. Vi sono intanto anche alcuni concetti usurpati, ad esempio quelli di felicità, destino, che circolano in verità per ogni dove, e che talora vengon messi in questione, con la domanda: quid iuris? Nel qual caso ci si trova in imbarazzo non piccolo per la loro deduzione, non essendo possibile addure nessun fondamento evidente di diritto, nè dall’esperienza, nè dalla ragione, per rendere manifesta la legittimità de loro uso.

Ma fra i concetti di varie specie, che formano il tessuto così svariato della umana conoscenza, se ne danno, che sono determinati anche per l’uso puro a priori (del tutto indipendentemente da ogni esperienza), il cui diritto ha avuto sempre bisogno di essere dedotto; giacchè per la giustificazione di un tal uso non sono sufficienti le prove ricavate dall’esperienza; ma è necessario sapere altresì