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sezione seconda - del tempo 81

interna. Ha dunque realtà soggettiva rispetto all’esperienza interna, cioè: io ho realmente la rappresentazione del tempo e delle mie determinazioni in esso. Esso è dunque da considerare reale non come oggetto, ma come modo di rappresentazione di me stesso come oggetto. Ma, se io stesso o un altro ente mi potesse percepire senza questa condizione della sensibilità, quelle stesse determinazioni appunto, che noi ora ci raffiguriamo come cangiamenti, darebbero una conoscenza, nella quale la rappresentazione del tempo e con essa quella del cangiamento, non avrebbe più luogo. Resta dunque la sua realtà empirica come condizione di tutte le nostre esperienze. Solo la realtà assoluta, dopo ciò che abbiamo detto, non può essergli riconosciuta. Esso non è se non la forma delle nostre intuizioni interne1. Se si toglie da esso la condizione speciale della nostra sensibilità, sparisce anche il concetto di tempo, ed essa non appartiene agli oggetti stessi, ma semplicemente al soggetto che li intuisce.

Ma la causa, per cui tale obbiezione è fatta così concordemente, e da coloro che pur non trovano nulla da obbiettare contro la dottrina della idealità dello spazio, è questa. La realtà assoluta dello spazio essi non speravano di poterla dimostrare apoditticamente, poichè contro di essi sta l’idealismo, secondo il quale la realtà degli oggetti esterni non è suscettibile di prova rigorosa: laddove quella dell’oggetto del nostro senso interno (di me stesso e del mio stato) è chiara immediatamente per coscienza. Quelli potrebbero essere semplice apparenza; ma questo, a giudizio loro, è innegabilmente qualcosa di reale. Ma essi non han riflettuto che ambedue gli oggetti, senza che la loro realtà come rappresentazione possa esser contestata, non appartengono tuttavia se non al fenomeno, che ha sempre



  1. Certo, io posso dire: le mie rappresentazioni si susseguono; ma ciò significa solamente: noi abbiamo coscienza di esse, come in una serie temporale, cioè secondo la forma del senso interno. Il tempo perciò non è considerato come qualcosa in sè, e nemmeno come una determinazione inerente oggettivamente alle cose. (N. di K.)
Kant, Ragion pura. 6