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cessi, non per immediata inclinazione, ma per un effetto della sua lusinghiera e deplorabile facilità a uniformarsi a tutti i gusti. Il desio troppo vivo di piacere altrui il condurrà a vicenda ad essere un buggiardo, uno sfaccendato, un bevitore, se col rendersi il tristo scherno d’una inclinazione, bella sì in se stessa, ma frivola, da che non lasciasi guidare da principii, non s’impone le regole che formano la salvaguardia d’ogni buona condotta.

In conseguenza, la vera virtù non può esser fondata che sui principii che la rendono d’altrettanto più sublime e più nobile quanto saranno essi universali. Non si riferiscono questi a regole speculative, ma all’intima coscienza di un sentimento ch’esiste in seno a tutti gli uomini, e che si allarga ben più lungi che le particolari sorgenti della pietà e della compiacenza. Stimo di abbracciare tutto quello ch’io intendo nella mia denominazione quando io dico essere Il sentimento della bellezza e della dignità dell’umana natura, in cui trovasi da prima un principio d’universale benevolenza, ed in seguito di stima generale per la specie; e se tal sentimento sarebbe pervenuto alla sua più grande perfezione in qualche umano cuore, quest’uomo in vero amerebbe e stimerebbe se stesso, ma solo perchè farebbe parte di quel bell’insieme di esseri sui quali si spargerebbe il suo vasto e nobile sentimento. Subordinando si fattamente le nostre picciole inclinazioni personali e particolari ad una sola che assunse quel grado di latitudine, ci è dato di lusingarci di contenere ogni nostra benevola inclinazione in giusti limiti, di assegnare a ciascuna di esse convenevoli