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do d’intelligenza vi si scorge qualche volta, e possono allora più o meno ravvicinarsi al Sublime. Colui, nella cui allegria non vi si immette alcuna tinta di questo miscuglio, non è che uno stolido; colui che ha sempre il riso in sulle labbra, non è che uno sciocco. Altri può facilmente osservare che gli uomini il di cui giudizio è più rassettato permettonsi qualche volta di celiare; e non è proprio d’una piccola forza di spirito il far discendere in questo modo l’intelligenza dal suo elevato posto, senza ch’ella travii. Colui i di cui discorsi e le cui azioni discolorate nè commovono nè aggradano, è un uomo fastidioso. Costui, lorchè a dispetto della natura, sforzasi di produrre questi due effetti, è un essere insipido. Se a tutto ciò egli aggiugne della presunzione, ci offre predisamente un pazzo1.

Voglio provarmi a distendere questo singolare sbozzo delle umane debolezze, più facile ad esser

  1. Osservansi da prima che questa onorevole famiglia dividesi in due logge, quella dei visionarii e quella dei stolidi. Si dà, per discrezione, il nome di pedante a un dotto visionario. Quando assume l’orgoglioso volto della saggezza, come il Dunce de’ tempi antichi e moderni, il cappuccio a sonagli a meraviglia conviengli. Nel gran mondo assai più numerevole dell’altra è la classe degli sciocchi; e forse ancora ha più dritti all’indulgenza, non fosse per altro che pel motivo di avervi almeno a guadagnare con essa qualche cosa in allegria. Nulladimeno, in questa varietà di caricature e di maschere che s’incrocicchiano, in sensi differenti, nel cammin della vita, fa l’una sovente le smorfie all’altra, che le rende concambio, ed urta, colla sua testa vuota, quella del fratel suo, che non trovasi per avventura meglio in arnese.