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straordinario splendore negli occhi, col sorriso, e sovente con un allegrezza incapace d’infingersi. Lo stesso sublime dividesi in differenti specie. Accompagnato sovente da orrore e malinconia è il sentimento che desso fa nascere; in alcuni casi, solo d’una tranquilla ammirazione; e, in altri, d’una idea di ricchezza, purchè quest’ultima sembra spandersi su largo piano. Chiamerei il primo il Sublime terribile, il secondo il sublime nobile, e magnifico il terzo. Una profonda solitudine è sublime, ma in un modo che ha del terrore1; nasce da ciò che le solitu-


  1. Non voglio offrire che un solo esempio dell’imponente spavento o del ribrezzo che può provare la descrizione d’un assoluta solitudine. In questo proponimento riporto qui un estratto del sogno di Carazan: Questo ricco avaro, a misura che vieppiù accresciuta erasi la sua opulenza, avea serrato il suo cuore alla pietà ed all’amore del prossimo. Ciò nulladimeno per quanto l’umanità raffreddavasi in lui, altrettanto augumentavasi il fervore delle sue preghiere e la sua assiduità agli esercizj religiosi. Dopo tal confessione che involontario fa egli stesso, continua così:
    »Una sera ch’io verificava i miei conti al luccicore della mia lampada, e che calcolava i miei benefizii, fui preso dal sonno. In tale stato, ravvisai l’angelo della morte che precipitavasi su di me con tutta la impetuosità di un turbine. Ei mi percosse, prima che avessi avuto il tempo di scongiurarlo. Sentiimi mancare e intirizzirmi, come se ravvisassi che andava ad entrare nell’eternità, e che nulla poteva più essere aggiunto al piccol bene che avea io fatto, anche troppo incompletamente, e nulla tolto di tutto il male onde avea a rimproverare me stesso... Venni allora portato avanti al trono di colui che abita nel terzo cielo. La luce, che fiammeggiava a me dinanzi, così parlommi: «Carazan, rifiutato è tutto il culto che tu hai reso a Dio; tu hai