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viaggio al centro della terra 77


pezzi di lava, ed io provai un certo diletto a seguire coll’occhio le migliaia di cascatelle improvvisate sui fianchi del cono e di cui ciascuna pietra cresceva l’assordante mormorio.

Mio zio non si conteneva più. C’era in fatti di che irritare un uomo più paziente, perchè gli era proprio un arenarsi in porto.

Ma ai grandi dolori il cielo unisce le grandi gioie: e riservava al professore Lidenbrock una soddisfazione pari alle sue noie disperanti. La domane il cielo fu ancora coperto, ma la domenica, 28 giugno, l’antipenultimo giorno del mese, col cambiamento di luna si mutò pure il tempo. Il sole versò a onde i suoi raggi nel cratere. Ogni monticolo, ogni masso, ogni pietra, ogni asperità ebbe la sua parte di questo benefico effluvio e allungò istantaneamente la sua ombra sul suolo. Fra le altre, quella dello Scartaris si disegnò come un angolo e andò in giro insensibilmente coll’astro radioso.

Mio zio girava con essa.

Al mezzodì, quando era fatta più breve, venne a lambire dolcemente l’orlo della bocca centrale.

«È là! esclamò il professore; è là! al centro del globo!» aggiunse in danese.

Io guardava Hans.

«Forüt! disse tranquillamente la guida.

— Avanti,» rispose mio zio.

Era la una e tredici minuti pomeridiane.


XVII.


Il vero viaggio incominciava. Fino allora le fatiche avevano superato le difficoltà; oramai queste dovevano nascere sotto i nostri passi.

Io non aveva ancora gettato lo sguardo in quel pozzo senza fondo in cui stava per inabissarmi. Era venuto il momento; potevo ancora rassegnarmi all’intrapresa o ribellarmi, ma ebbi vergogna di dare indietro dinanzi al cacciatore. Hans accettava così tranquillamente l’avventura, con tanta indifferenza e con sì perfetta noncuranza d’ogni pericolo, ch’io arrossii al pensiero di parere meno coraggioso di lui. Se fossi stato solo, avrei certo fatto