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viaggio al centro della terra 33


Io accennai di sì.

«E vi conduce con lui?»

Stessa affermazione.

«Dove?» diss’ella.

Indicai col dito il centro della Terra.

«In cantina? esclamò la vecchia serva.

— No, diss’io, più abbasso!»

Giunse la sera. Io non aveva più coscienza del tempo trascorso.

«A domani mattina, disse mio zio, noi partiamo alle sei in punto.»

Alle dieci caddi sul mio letto come una massa inerte.

Durante la notte i miei terrori mi riassalirono; non feci altro che sognare abissi, deliravo, mi sentivo stretto dalla mano vigorosa di mio zio, trascinato, inabissato; caddi entro precipizi senza fondo colla velocità crescente dei corpi abbandonati nello spazio. La mia vita non era più che una caduta interminabile.

Mi destai alle cinque affranto di fatica e di commozione, e scesi nella sala da pranzo. Mio zio era a tavola e divorava; io lo guardava con un sentimento di orrore; ma Graüben era là; non dissi parola, non potei mangiare.

Alle cinque e mezzo si udì rumor di ruote nella via. Era un’ampia carrozza che doveva condurci alla ferrovia di Altona, e fu bentosto ingombra dei bagagli di mio zio.

«E la tua valigia? mi chiese egli.

— È pronta, risposi, venendo meno.

— Sbrigati dunque a portarla abbasso, o tu ci farai perdere la corsa!»

Lottare contro il mio destino mi parve allora impossibile. Risalii nella mia camera, e facendo rotolare la mia valigia sui gradini della scala, mi slanciai dietro di essa.

In quel momento mio zio rimetteva solennemente nelle mani di Graüben, le redini della sua casa. La mia bella Virlandese serbava la sua calma abituale. Ella abbracciò il tutore, ma non potè trattenere una lagrima, sfiorando la mia guancia colle sue dolci labbra.

«Graüben! esclamai.

— Va, mio caro Axel, va, mi diss’ella; tu lasci la tua fidanzata, ma al ritorno ritroverai la tua sposa.»

Strinsi Graüben nelle mie braccia, e presi posto nella