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viaggio al centro della terra 177


XLI.

La domane, giovedì, 27 agosto, fu una data celebre del viaggio subterrestre. Nè io so rammentarmene senza che lo spavento mi faccia ancora battere il cuore. Da quel momento la nostra ragione, il nostro giudizio, la nostra ingegnosità non poterono più nulla e diventammo gioco dei fenomeni della Terra.

Alle sei, eravamo in piedi. S’accostava il momento di aprire colla polvere il passo attraverso la scorza di granito.

Volli aver l’onore di appiccare il fuoco alla miccia. Ciò fatto, io doveva raggiungere i miei compagni sopra la zattera che non era stata scaricata: poi dovevamo prendere il largo per metterci al riparo dai pericoli dello scoppio, i cui effetti potevano estendersi al di là della massa di granito.

La miccia doveva ardere per dieci minuti, secondo i nostri calcoli, prima di appiccare il fuoco alla camera della polvere.

Avevo dunque il tempo necessario per riguadagnare la zattera.

Mi preparavo a fare la mia parte non senza una certa commozione.

Dopo una spiccia refezione, mio zio ed il cacciatore s’imbarcarono, mentr’io rimaneva sulla spiaggia. Ero munito d’una lanterna accesa che doveva servirmi a mettere il fuoco alla miccia.

«Va, giovinotto, disse lo zio, e ritorna immediatamente a raggiungerci.

— State tranquillo, risposi, non mi trastullerò certo per via.»

Mi diressi verso l’orifizio della galleria, aprii la lanterna e presi il capo della miccia.

Il professore teneva il suo cronometro in mano.

«Sei pronto? gridò.

— Son pronto.

— Ebbene, fuoco!»

Io cacciai rapidamente nella fiamma la miccia che scoppiettò al suo contatto; poi a tutta corsa ritornai alla riva.