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10 viaggio al centro della terra


Questo, ne convengo, mi parve abbastanza logico.

«Io sono dunque condotto a pensare, ripigliò mio zio, che uno dei possessori di questo libro abbia tracciato siffatti caratteri misteriosi. Ma chi diancine era questo possessore? Non avrà egli messo il suo nome in qualche punto del manoscritto?»

Mio zio rialzò gli occhiali, prese una forte lente e passò attentamente in rassegna le prime pagine del libro. In capo alla seconda, quella del falso titolo, egli scoprì una specie di sgorbio che appariva all’occhio come una macchia d’inchiostro. Peraltro, guardando attentamente, si scorgevano alcuni caratteri mezzo cancellati; mio zio comprese che quivi stava il punto interessante; egli non abbandonò più lo sgorbio, e coll’aiuto della grossa lente riuscì a riconoscere i segni seguenti di carattere runico ch’egli lesse senza esitare: ᛐᛦᚳᛅ ᛋᛐᚴᚳᚢᛋᛋᛅᛯᛐᛦᚳᛅ ᛋᛐᚴᚳᚢᛋᛋᛅᛯ

«Arne Saknussemm! esclamò coll’accento del trionfo; ma questo è un nome, un nome islandese, quello di uno scienziato del sedicesimo secolo, d’un celebre alchimista!»

Guardai mio zio con una tal quale ammirazione.

«Questi alchimisti, proseguì egli, Avicenna, Bacone, Lulle, Paracelso, erano i veri, i soli scienziati del loro tempo. Essi hanno fatto scoperte di cui noi dobbiamo essere sbalorditi. Or perchè codesto Saknussem non potrà aver celato sotto l’incomprensibile criptogramma qualche invenzione meravigliosa? Così dev’essere; così è.»

L’immaginazione del professore si accendeva a questa ipotesi.

«Senza dubbio, osai rispondere; ma quale interesse poteva avere quello scienziato a nascondere di cotal guisa qualche scoperta meravigliosa?

— Perchè? perchè? e lo so io perchè? Galileo non ha egli fatto altrettanto per Saturno? d’altra parte noi vedremo; io avrò il segreto di questo documento e non prenderò nè nutrimento, nè sonno prima di averlo decifrato.

— Oh! pensai io.

— E neppur tu, Axel, riprese egli.

— Diavolo! dissi a me stesso, fortuna che ho desinato per due.