Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/99


— 97 —


Le «Gru Migranti» del Sanfelice si svolgono in lunga teoria, poderose e altere come aquilette regali, su un orizzonte a pause di nembi e di sole, nella solitudine d’una via del cielo troppo eccelsa per essere ingombra. «.... Come i gru van cantando lor lai» egli effonde la piena delle rime in una ricchezza di metro e di concetto che non si riscontrano frequentemente fra i nostri giovani autori. E neppure si trovano molti che conoscano come lui l’arte difficile del condensare — qualità che in prosa può esser solamente simpatica, ma che in poesia io ritengo indispensabile. Peccato che di questa sua forza egli vada tanto altero da abusarne un pochino a scapito qualchevolta della chiarezza e dell’eleganza; — ma in tempi d’anemia come questi si può ben perdonare un’esuberanza di salute, specialmente se il più delle volte c’incontriamo in versi come questi:

Scendono i morti e salgono le spiche,
recano quelli un’eco nel mister,
e forse queste, pane alle fatiche,
fremono della terra un pio pensier.

Io conosco qualche poema in cui si è tirato in ballo gli elementi e qualche cosa di più, che non riesce a dare il senso arcano e profondo della palingenesi come queste quattro righe nutrite d’una così gentile maestà. Di questi componimentini, coloriti e tenui come fiori, che raccolgono essenza vera di poesia, è costellato il volumetto denso e sottile. Il Sanfelice li chiama semplicemente «Sensi lirici» o «Note liriche» e sono un’innovazione riuscitissima, intorno alla quale amerei indugiare a lungo con una compiacenza tutta femminile come fra ninnoli fragili e costosi. Ma «la via lunga il piede mi sospinge»; poi il giovine autore, tutto volto a più serii ideali,