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Le «Gru Migranti» del Sanfelice si svolgono in lunga teoria, poderose e altere come aquilette regali, su un orizzonte a pause di nembi e di sole, nella solitudine d’una via del cielo troppo eccelsa per essere ingombra. «.... Come i gru van cantando lor lai» egli effonde la piena delle rime in una ricchezza di metro e di concetto che non si riscontrano frequentemente fra i nostri giovani autori. E neppure si trovano molti che conoscano come lui l’arte difficile del condensare — qualità che in prosa può esser solamente simpatica, ma che in poesia io ritengo indispensabile. Peccato che di questa sua forza egli vada tanto altero da abusarne un pochino a scapito qualchevolta della chiarezza e dell’eleganza; — ma in tempi d’anemia come questi si può ben perdonare un’esuberanza di salute, specialmente se il più delle volte c’incontriamo in versi come questi:
Scendono i morti e salgono le spiche, |
Io conosco qualche poema in cui si è tirato in ballo gli elementi e qualche cosa di più, che non riesce a dare il senso arcano e profondo della palingenesi come queste quattro righe nutrite d’una così gentile maestà. Di questi componimentini, coloriti e tenui come fiori, che raccolgono essenza vera di poesia, è costellato il volumetto denso e sottile. Il Sanfelice li chiama semplicemente «Sensi lirici» o «Note liriche» e sono un’innovazione riuscitissima, intorno alla quale amerei indugiare a lungo con una compiacenza tutta femminile come fra ninnoli fragili e costosi. Ma «la via lunga il piede mi sospinge»; poi il giovine autore, tutto volto a più serii ideali,