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Ed ora entrando in materia, per esporre coraggiosamente il mio parere, soggiungo che non mi pare di riscontrar contradizione alcuna fra le linee generali del carattere del Conte Zio e il suo modo di trattare la faccenda col molto reverendo padre: giacchè se il Conte ci viene raffigurato dall’autore come un barattolo di farmacia vuoto di dentro, sappiamo pure che aveva su certe parole arabe per mantenere il credito alla bottega; e il credito non l’avrebbe mantenuto, se invece di usare di quelle «spalmature di vernice che la politica a più mani aveva messe sopra il suo viso,» fosse entrato impazientito a piè pari nell’argomento, narrando brutalmente al religioso la storiella scandalosa di fra Cristoforo: tanto più che da certe reticenze del padre provinciale, da certi tentativi di difesa, egli ha dovuto intendere facilmente che non era quello il bandolo, e che la stima in cui si teneva o a torto o a ragione fra Cristoforo, avrebbe forse reso inefficace quell’accusa troppo grave facendo gridare alla calunnia.

Quindi bisognava che il magnifico signore s’attenesse al verosimile per non urtar troppo il molto reverendo padre, tanto più che fra i due (parla il Manzoni) «passava un’antica conoscenza; s’erano veduti di rado, ma ogni volta con gran dimostrazioni d’amicizia e con proferte sperticate di servigi:» un’amicizia insomma piena di riguardi e di cerimonie.

L’offesa recata a fra Cristoforo con quell’accusa era un’offesa all’abito che portava l’amico molto reverendo, il quale stava appunto cantando di quell’abito la gloria e i miracoli. Così la confidenza di un semplice urto fra il padre Cristoforo e don Rodrigo, condite con le solite reticenze di quel «par-