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gresso si crea necessità che prima non conosceva? È perchè la vita civile odierna ci pone maggiormente a contatto dei nostri simili e ne sentiamo più i lamenti e ne vediamo più i bisogni? Fatto si è che i poveri ci sono e restano, e che ora più del solito sentiamo l’impulso e il dovere di soccorrerli; ora, nel desolato inverno che le miserie morali e fisiche ingigantisce come in certi paesi polari s’ingigantisce l’aspetto delle cose per un fenomeno di rifrazione.

Per i poveri si danza, si canta, si suona, si recita, si fanno gli alberi di Natale e le lotterie e va benissimo, non sofisticherò: il fine giustifica i mezzi. Ma la carità vera, cristiana, benefica per l’anima di chi la fa quanto per l’anima di chi la riceve, è praticata da pochi, purtroppo. Tutti sanno che la carità diretta, nascosta, da simile a simile, esercitata con discernimento ed alacrità è nobile e buona: ci esaltiamo tutti per un atto di filantropìa ben diretto; i libri che ci nutrirono lo spirito nella giovinezza ne sono sàturi, imbevuti ne sono quelli che diamo in mano ai nostri figliuoli. Dunque in teoria tutti d’accordo, ma in pratica? Noi daremo un soldo a un vagabondo per levarcelo di torno sulla via; ma quante volte, assidendoci al desco famigliare innanzi alla minestra fumante, ne leviamo una ciotola per la vecchierella da cui ci separa un muro, che fa rammollire per i suoi denti malfermi il tozzo di pane nell’acqua e intirizzisce sotto lo scialle sdruscito? Noi insegniamo ai bambini di cospargere di briciole il davanzale nevoso della finestra per i passeri vaganti, ma non li conduciamo che assai raramente nelle case del povero per sollevarlo.

Sarebbe così bello, invece, e così proficuo che ogni mamma dedicasse un’ora la settimana a qual-