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te volte io penso a questa povera gente che non ha l’epidermide abbastanza dura per mescolarsi alle distrazioni del popolo e per non sentire la nostalgia delle distrazioni dei ricchi; tante povere piccole mani sciupate dall’ago; tanti begli occhi affaticati dai libri; tante teste grigie indolenzite dai fornelli e dai pazienti rammendi, tante gambuccie di fanciulli anelanti agli spazii erbosi, alle arene benefiche.
Ma per loro, per questa povera gente, non c’è che qualche sosta in qualche pubblico giardino, di sera, quando i negozi e le cure sono finite, con la prospettiva delle stanzuccie al quarto piano anguste, brucianti nelle notti affannose; qualche gita fuori di porta la domenica, coll’incubo, per i giovani, dei desiderii perpetuamente insoddisfatti; per i vecchi, dei perpetui dinieghi; ci sono le pianticine di geranio e di viola sul davanzale, le piccole fortune invidiate di un pergolato di volubilis su un terrazzo di due metri — gli orizzonti di qualche punta d’albero, di qualche scorcio di viale...
1 Novembre
Dopo un’assenza un po’ prolungata riapro il mio diario che potrei chiamare il libro delle sfumature. Malinconiche sfumature quelle d’oggi. Le sfumature del grigio, del marrone, del bianco; dei colori della penitenza e delle fredde purezze solitarie. Mi pare che nell’inverno le tinte gaie dormano il giorno e vivano la notte come la gioconda e lieve falange dei silfi e delle fate, come tutte le cose ridenti che non si sa più dove siano. La notte trionfano, folleggiano nei ritrovi, nei teatri, nei balli, nei conviti; fra pareti rabescate ed ornate, sotto un sole di gas o d’elet-