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fa la prima ricognizione. Era proprio così: c’è proprio tutto, e c’è l’amore volatilizzato nell’atmosfera che illumina, riscalda, e facilita e abbellisce azioni e cose. Dopo un paio d’ore, la casa ideale di ieri è identificata nella casa reale di oggi, e la dimora vera si riflette fedelmente nel paese del sogno. Quelle pareti sono già piene di memorie, di speranze; appartengono già alla nostra vita interiore; e le adoriamo come il passato e le difendiamo come l’avvenire.

Pure non saranno consacrate che il giorno in cui vi piangeremo per la prima volta.

Mi piacerebbe di domandare a cento donne scelte a gruppi nelle diverse classi sociali come sognano una casa. Scommetto che anche fra quelle medesime che preferiscono un palazzo o un castello, un châlet o un villino, una casetta o una capanna, non si troverebbero le stesse aspirazioni. La donna rispecchia nella casa le gradazioni più indistinte della sua natura. Si potrebbe dirle: Dimmi come è la tua casa e ti dirò chi sei.

Io credo che la mia casa ideale farebbe disperare più d’un ingegnere. La vorrei fra un giardino pieno di alberi e di fiori, non importa dove; bassa, a un sol piano, terminata alle due estremità da due stanze rotonde, coperte a cupola, e circuite di finestre; indi fiancheggiate da due torrette alte e snelle e accessibili per spaziare nell’orizzonte. Il corpo della casa dovrebbe essere tutta una sala, e tutta la parete di mezzogiorno fatta di vetri, come una serra. La luce verrebbe mitigata dalle piante rampicanti di fuori e dalle tende nell’interno: la gran sala si dividerebbe in stanze e salottini per mezzo di grandi paraventi e di pareti sottili e rientranti, all’uso giapponese.