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gidezza per le fantasticherie e i languori; bisogna pervenire allo sdoppiamento completo di sè; foggiarsi e alimentare in noi un piccolo giudice giusto ma supremamente severo. Allora il libriccino diventa una specie di controllo morale, e solo allora un consigliere efficace.

Io aspetto con delizia le sere di solitudine per dare l’ultima mano alla novella, all’articolo, per trionfare d’una pagina ribelle, per incominciare un lungo e più arduo lavoro. Alla sera i bambini dormono, i parenti, gli amici, i servi non interrompono — si sa che nulla reclama il nostro intervento, si sa di potersi abbandonare con pieno diritto e dedizione totale all’opera faticosa e gentile. E nel gran silenzio che si addensa intorno, balenano copiose le idee, e scendono in raggi fecondi nell’espressione agile ed efficace. Si scrive, si scrive, si sogna senza dormire, si vive con persone che non si conoscono, che non esistono, ma che si agitano e soffrono e vivono e parlano animati da noi, figli del nostro dolore, quasi sempre. Poi ad un tratto uno scricchiolio, un suono, una voce ci scuotono, si guarda l’oriuolo e sfugge un’esclamazione di meraviglia. Già terminata la sera? E ci troviamo nel cervello un capriccio di meno e qualche idea di più.

12 Gennaio

Giulia mi ha detto che non tutte le signore possono usare del magico specifico, cui accennai ieri, per occupare il tempo. Certo; ma molte però possono impiegarlo vivendo nello spirito dei sommi che nella solitudine scrissero per la solitudine. Tutte poi possono procurarsi il sano diletto intellettuale