Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/54


— 52 —


11 Gennaio

È la stagione delle lunghe serate. Non ne diciamo troppo male. Gli affetti e le dolcezze del focolare si avvivano come le stanze all’accendersi dei lumi dopo il livido svanire dell’ultima luce. Gli ambienti sono più tepidi, gli spiriti più gai. La solitudine stessa nelle sere d’inverno, si riveste d’un colore d’austerità feconda che la rende meno triste. Non è come in certi tramonti di primavera o d’autunno, in cui l’anima indocile ai legami della volontà migra in alto insieme alle nubi di rosa e di viola per tornare più mesta, più solitaria più infelice. Nelle veglie invernali ci si accomoda nell’angolo più simpatico del salottino, e là, protette dalla penombra raccolta del gran paralume, si scrive. Sia all’amico venerando, alla sorella giovinetta, al figliuolo collegiale, al fratello, alla madre, ma le nostre lettere devono portare una forza, un sorriso, un esempio, un pensiero, una fede... Qualchevolta è un libretto che esce dalle misteriose profondità della scrivania — un libretto come questo, dove si notano da anni le impressioni, i pensieri, i libri letti, i versi preferiti, i progressi morali e intellettuali dei figliuoletti che sbocciano al nostro alito amoroso... È un’utile abitudine; insegna a pensare, ad analizzare, a determinare; poi è una pallida conservazione della vita passata che non svapora del tutto, chiusa così in essenza fra le pagine. Ma per far ciò fruttuosamente, occorre sopratutto la sincerità; una sincerità acuta, spietata, che disgombri affatto la coscienza dalle nebulose fra cui si vizia e si falsa. Bisogna avere il coraggio delle contraddizioni, dell’opinione intima, che è quasi sempre la più timida, della ri-