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grandioso che sbalordisce al grottesco che attira il frizzo, il passo è così breve!
Così finivo la mia succinta recensione nella Battaglia Bizantina, e così ripeto ora e non vorrei ripeterlo solamente a voi, signorina, ma a coloro che credono che pur di far dello spirito si rida scioccamente di tutto. Qualche volta si ride per non piangere, e ci sarebbe proprio da piangere se si pensasse un poco alle nostre condizioni letterarie d’Italia, e come dal vecchio seicento e dalla giovine America s’annida in modo allarmante fra noi la mania del concettoso, dello stracarico, dell’enorme, dell’immane. Tutti si fermano a guardare l’orso che balla, pochi a meditare sulla variopinta meraviglia di un insettuzzo che vola!
Oh, no, gentile Elda, credete, credete a me, non è un mito il poeta quale tentai di dipingerlo, nè dovrebbe essere un taumaturgo; basterebbe che fosse un poeta e non un verseggiatore, basterebbe che appunto si trovasse a disagio in un secolo come il nostro che voi chiamate a ragione positivo, scettico, investigatore; basterebbe che non sapesse il peso specifico del sole, ma che si prostrasse ad adorarlo. Potrei fare la scommessa che un vero poeta (e grazie a Dio, sebbene scarsi, ne conosco ancora), un vero poeta non scriverà mai una sola delle parole dotte che il Checcucci mi ha insegnato. La scienza, questa spietata carità, ci darà faticando dei versi, dall’ignoranza popolare fluirà essenza vera di poesia. Omero non sapeva come fosse fatto il mondo, e Dante ha detto degli strafalcioni astronomici. Non lo dimentichiamo.