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sfumature psicologiche, nessun vestigio di civiltà, insomma, i più restano disorientati, scontenti, come dinanzi a una mistificazione. Invece questa opera di Neera è un’originale e aristocratica opera d’arte, la più originale e la più aristocratica ch’ella abbia scritto fin qui. Poichè il valore d’una creazione non risiede nella mole e nemmeno nell’importanza del lavoro, ma nell’equilibrio, nella completa fusione del pensiero con la parola, nel raggiungimento di quel qualunque ideale vagheggiato. Una volta lessi, non mi ricordo più dove, ma certo in un libro bello e buono, questa gran verità che dovrebbe apparire come il famoso Mane Tekel Fares sulla prima pagina d’ogni libro che s’imprende a giudicare: Non bisogna domandarsi perchè l’autore ha voluto far così invece che in altro modo: ma esaminare come è riuscito: non giudicare l’opera dal punto di vista della nostra simpatia o antipatia per quel tal soggetto o per quel tale ambiente, ma giudicarla nella luce in cui si rivelò all’autore: vedere se ha o no raggiunto il suo fine. Le parole, come si vede, sono mie, ma non importa; la massima che mi colpì è questa. L’arte deve essere libera, la critica d’un oggettivismo assoluto.
Però io penso pure che il pubblico, i lettori, hanno i loro diritti. Il diritto, cioè, di trovare qualche mano dipinta che indichi la vera via quando ci si trova fuori dalle strade maestre. Ora le prefazioni non fanno più paura a nessuno, le prefazioni non si saltano più, si leggono, si gustano e... anche qualche volta, fanno risparmiare di leggere il libro. Sul serio: quando si abbia la fortuna d’avere un’idea un po’ insolita, un po’ originale, e la fortuna ancora più grande di saperla esporre con garbo e