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L’autrice di questa concezione un po’ insolita, una donna d’attività e d’ingegno, si domanda se l’essere umano, sbocciato e allevato così al riparo di tutte le brutture, nell’ignoranza completa del male, possa affrancarsene; ma dal fondo della storia, dall’ideale e leggendario paradiso terrestre che forse le attraversò la mente mentre ella sognava questo sogno verginale, tutto accenna mestamente di no; tutto dice che il male, l’antico avversario, è annidato come un germe mortale in noi, non fuori di noi; che è in nostro potere di arrestarne il progresso, ma non di strapparne la radice; che l’ignorarlo non sarebbe un aumento di difesa, ma un aumento di debolezza, e la inevitabile, brusca rivelazione porterebbe la morte.

Le Marie, le due gemelle, affidate quasi nasciture dalla madre derelitta all’asceta che impose loro lo stesso nome, il nome grave e soave ad un tempo, crescono come due asfodeli in quella solitaria sfera di sogno. Ma nell’una, l’ho detto, era la purezza dell’acqua lustrale, nell’altra la purezza struggitrice del fuoco. I canti e l’opera dei minatori, a piè della montagna, che sbigottiscono l’una, rivelano all’altra la vita ed essa si slancia, vi si perde, mentre la sorella muore per la sola divinazione della verità.

L’autrice, che si chiama Neera, ha circonfuso l’austero e delicato lavoro di una semplice leggiadrìa di stile che forma un insieme armonioso con l’idea. Ma non tutti, temo, l’hanno compresa. La maggioranza ha aperto il libro credendo di imbattersi in un romanzo dei soliti, un romanzo analitico sentimentale, come quelli a cui la penna industre della scrittrice lombarda ci ha abituati; poi non trovando case, nè ville, nè salotti, nè signore, nè