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questa scena nella quale una donna può assistere col suo figliuoletto, passivamente, al supplizio di colui che l’ha resa madre, quasi anzi provocarlo, perchè è un nemico dei suoi, e profittare della loro reciproca posizione per vendicarsi orribilmente d’un amore, non d’uno sfregio.
Poi l’amico che uccide l’amico all’impazzata, mentre ambedue combattono divisi da un’idea; e la donnina leggera che si concede al vincitore; e le masse condotte alla strage quasi inconscie; e le speculazioni indegne; e le rassegnazioni stupide; e i sacrifici inutili; e tutta la immensa miseria, infine, della guerra che rimesta e mette a galla il limo del l’umanità.
Dei vari pregi di colorito, di andamento, di forma sarebbe lungo, e per me arduo, il parlare. Poi oramai lo Zola non si discute più: a qualunque scuola si appartenga, qualunque concetto artistico si difenda, allo Zola ci si inchina. La sua opera resterà forse sola a rappresentare la letteratura romantica francese di questo scorcio di secolo, e sarà un monumento grandioso dalla cima fiorita di emblematiche guglie rilucenti e leggiere. Ah, non gli si faccia carico di affinarsi nel simbolo! Il simbolo è un prezioso elemento d’arte per i pensatori profondi! Mi pare che l’opera zoliana spogliandosene, si spoglierebbe d’un’irradiazione luminosa, si rimpicciolirebbe in tanti piccoli circoli viziosi e terreni, mentre così assurge alla dignità efficace e grandiosa d’una teoria universale.
Non c’è bisogno d’esser molto acuti nel pensiero e gagliardi nella immaginazione per intendere la poesia suggestiva di certe vignette, dirò così, ornamentali. La vecchia incognita, lacera e scapigliata