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Come questa perfezione di leggiadria sfavillava nei tuoi canti, povero e caro ragazzo! Come mi fa male, ora, il ricordo di quell’accento quasi nostalgico con cui pronunziavi le parole sovrumane... con cui dicevi di voler riposare sognando un bene che nel nostro mondo non c’è...

Fanciulle mie, siamo oramai alle soglie del verziere, perdonatemi questo ultimo indugio. Vedete, si delinea già come un miraggio una vignetta delicatissima:

La stagione lieta e l’abito gentile
Ancor sorride a la memoria in cima
E il verde colle ov’io la vidi prima.
Brillava a l’aere e a l’acque il novo aprile,
Piegavan sotto il fiato di ponente
Le fronde a tremolar soavemente.

Ed ella per la tenera foresta
Bionda cantava a ’l sole in bianca vesta.

Ecco in otto versi la manifestazione più ampia e più profonda della primavera.

Ora udite come parla Giosuè Carducci del mio paese. Dovreste saperla tutte a memoria la seguente poesia, forti fanciulle che guardate cogli occhi bruni e fieri riflettersi le stelle nel piccolo Reno: piccolo d’onde e di valor gigante; il Monti dice.

Il Carducci si rivolge a Severino Ferrari — un simpatico poeta celebratore della sua nativa campagna emiliana:

O Severino, de’ tuoi canti il nido,
Il covo de’ tuoi sogni io ben lo so,
Ondeggiante di canape è l’infido
Piano che sfugge a ’l curvo Reno e al Pò.