Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/248


Qual si ripara colla palma un lume
In mezzo ai venti.
Tale m’alletta amoroso martôro
Che giorno e notte vo cantando e ploro.
Tan m’abelis l’amoros pensaman
Que jorn et nuit jeu plore et vai chantan.


Tutta la gentilezza romanzesca, la poesia malinconica degli amori irrimediabilmente lontani, i soli amori, forse, degni del nome divino.

Quell’Avemmaria rotta in cuore dall’apparizione della dama, la tenera promessa di riparare Lei dai mali e dalle genti come una fiammella con la mano, sono immagini e ispirazioni che non possono essersi accese che nella mente di un contemporaneo di Rudello e di Bernardo di Ventadorn, venute attraverso i secoli, come un’emanazione, nella mente di Arrigo Boito che le ha tradotte in tutta la loro freschezza nativa.

Dopo questa, ogni altra cosa par sbiadita. Ma qualche fanciulla pensosa amerà forse ch’io le ripeta i gentili versi sulla conchiglia, che emergono come un fiore dall’alto e fragile stelo fra la fioritura d’Ero e Leandro; i versi che rappresentano fulgidamente la profetica virtù che le fanciulle, custodi di ogni poesia, amano tanto di attribuire alle cose inanimate, rinnovellando in forma blanda l’oracolo antico:

Conchiglia rosea
Del patrio lido
Piccolo nido,
Del vasto mar.
Dell’alma Venere
Culla e flottiglia
Rosea conchiglia.

In te ricircolano
Mille volute
Che fan che mormorino
Fin l’aure mute.
Tu canti e sfolgori
Coro fra i cori
Oro fra gli ori
Del sacro altar.