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Per cimiero ei porta un guscio
Di castagna o di lumaca,
Una pelle di lucertola
È sua calza ed è sua braca;
Gli filava una tarantola
Cinque corde al suo liuto;
E non v’ha giullar più astuto
Del gobbetto Papïol.

Tien la vespa il fine aculeo
Dentro il corpo alidorato,
Tal Papiolo entro la cintola
Tiene un ago avvelenato,
Con quell’ago ei fe cadavere
Più d’un Duca e più d’un Conte,
Per quell’ago sir Drogonte
Venne spento da Papïol,

Perchè un dì, presente il Principe,
Arse vivo uno scorpione.
Fu Papiolo eletto al titolo
D’uom di Corte e Centurione;
Sulla terra ancor non videsi
Un più gracile arfasatto.
Ecco i fasti ed il ritratto
Del giullare Papïol.

Bello non è vero? in quell’artificiosa rudezza popolare. Eccovi ora lo spunto d’un altro capitolo in cui traluce molto bene la personalità del poeta:

Cessato è il nembo; — va volando intorno
L’angiol del giorno — a spegnere le stelle
E le fiammelle — che brillano sui fari
Dei marinari. — L’esule chiesetta
Dell’alta vetta — già si fa men bruna

  E ancor la luna
  Splende sull’ermo
  Bianca ed immota.
  Come una nota
  Di canto fermo.
  . . . . . .